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Salvatore Giuliano

 

 

Figlio del Movimento Indipendentista Siciliano, Salavatore Giuliano, rappresentò, prima con la sua partecipazione all'EVIS (Esercito volontario per l'indipendenza della Sicilia), poi con la clandestinità e il brigantaggio, il simbolo di una Sicilia che sul finire della seconda guerra mondiale non si riconosceva con il resto della penisola, portando sulle spalle le contraddizioni di un popolo diviso tra istituzioni, malavita e forze alleate. La fama del brigante, colpevole già ad inizio carriera di omicidio (si diede alla macchia dopo l'uccisione di un carabiniere) viene alimentata dall'abilità con cui riesce a sfuggire alle forze dell'ordine nelle montagne di Montelepre, ma è la sua morte improvvisa a ventotto anni a crearne il mito. Le contraddizioni presenti nella versione ufficiale della morte che lo vogliono ucciso in uno scontro a fuoco con i carabinieri, fanno emergere pian piano i poteri forti che si nascondono dietro la figura del brigante. Stato e Mafia nel loro lungo sodalizio iniziano proprio con la morte di Salvatore Giuliano a truccare le carte, a condizionare la Storia. A soli dieci anni di distanza dai fatti, Francesco Rosi decide di mettere in scena la vita del bandito. Il lavoro preparatorio è fatto di lunghi sopralluoghi a Montelepre e nelle campagne palermitane. Molti sono coloro che raccontano al regista fatti e circostanze legate a Giuliano e il film prende una strada inaspettata: quella che doveva essere una biografia diventa il primo film inchiesta del cinema italiano. La sovrapposizione di fatti non contigui, apparentemente accostati casualmente, permettono allo spettatore di farsi un'idea di quello che è stato in quei giorni e in quei luoghi, quali sono stati gli attori principali, chi tirava le fila di una trama oscura e intricata. L'intuizione del regista è anche quella di fare un film su Salvatore Giuliano senza mai mostrarlo nel film, se non cadavere. Memorabile la scena piena di pietas in cui la madre velata di nero bacia il corpo freddo del figlio. Prima ancora che in Pasolini, i riferimenti alla pittura italiana sono assai forti. Rosi apre il suo film con la morte del bandito e solo alla fine assistiamo ai momenti che precedono la scena del delitto. Se Salvatore Giuliano è il protagonista in assenza, il cugino e braccio destro del bandito Gaspare Pisciotta è il protagonista in presenza. Sarà lui a favorire la fine di Salvatore Giuliano. Il tradimento, viene messo in scena da Rosi come in una tragedia greca e il traditore ne diventa un Giuda pieno di rabbia e risentimento verso se stesso. Durante il primo processo per strage della storia d'Italia, quello su Portella della Ginestra, Pisciotta parla e accusa politici della DC siciliana e signorotti locali quali mandanti della strage, togliendo a Salvatore Giuliano almeno le responsabilità politiche dell'eccidio. Il film in concorso al Festival di Berlino nel 1962 vinse il premio per la miglior regia e segnò l'inizio di un genere continuato in primis dallo stesso Rosi con gli altri due capolavori d'inchiesta "Le mani sulla città" e "Il caso Mattei".

 

Pietro (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

 

 

 

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