Nel nome del pane e delle rose
Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso. Non si entra – e non si esce – facilmente. Chi può descriverlo? Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione: a meno che non nascano degli operai o impiegati artisti, il che sembra piuttosto raro. Gli artisti che vivono fuori, come possono penetrare in una industria? I pochi che ci lavorano diventano muti, per ragioni di tempo, di opportunità, ecc. Gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta bensì dalla assimilazione. Anche per questo l’industria è inespressiva; è la sua caratteristica.
(Ottiero Ottieri)
La rassegna affonda le sue radici nel tentativo di raccontare un immaginario lavorativo che è stato negli ultimi decenni completamente devastato. Sono passati oltre cinquanta anni da quando il termine di letteratura industriale è stato coniato e valorizzato nelle pagine della rivista Menabò di letteratura attraverso un dibattito inaugurato da Elio Vittorini e Italo Calvino. Negli anni Sessanta la letteratura industriale ha infatti segnato un solco indelebile nella produzione narrativa italiana. Come viene riportato oggi dagli scrittori contemporanei il mondo della fabbrica e come invece veniva descritto cinquanta anni fa? Nei momenti di distacco dal lavoro l’operaio (oggi scolarizzato) sente la necessità di raccontarsi, ma lo fa in modo del tutto diverso dall’immagine che i narratori dell’età industriale ci hanno consegnato. Per questo nella rassegna di questo mese (il cui titolo evoca lo slogan Pane e rose adottato in varie epoche ed occasioni dagli operai in sciopero)– seppur senza pretese di esaustività – presentiamo opere di scrittori italiani che dagli anni Sessanta ad oggi raccontano il mondo del lavoro in fabbrica. Non si tratta solo di romanzi ma anche di opere ibride che intrecciano storie di famiglia, materiali d’archivio e memoir, narrazioni anche brevi che rivelano, soprattutto nella società di oggi, il bisogno serpeggiante e diffuso di riappropriarsi di uno scopo e di un’identità professionale, fatta di valore e indipendenza.
La scrittura di ieri
Tempi stretti di Ottiero Ottieri, Einaudi, 1957
Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Feltrinelli, 1958
Donnarumma all'assalto di Ottiero Ottieri, Bompiani, 1959
La vita agra di Luciano Bianciardi, Rizzoli, 1962
Memoriale di Paolo Volponi, Einaudi, 1964
Il padrone di Goffredo Parise, Feltrinelli, 1965
Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Garzanti, 1971
La scrittura di oggi
La classe avversa di Alberto Albertini, Hacca, 2020>
Tuttofumo di Eugenio Raspi, Baldini & Castoldi, 2019
Meccanoscritto di Collettivo MetalMente con Wu Ming 2 e Ivan Brentari, Alegre, 2017
La fabbrica del panico di Stefano Valenti, Feltrinelli, 2013
Ternitti di Mario Desiati, Mondadori, 2012
La dismissione di Ermanno Rea, Rizzoli, 2002
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Ultimo aggiornamento venerdì, 4 novembre 2022
Il mondo delle fabbriche è un mondo chiuso. Non si entra – e non si esce – facilmente. Chi può descriverlo? Quelli che ci stanno dentro possono darci dei documenti, ma non la loro elaborazione: a meno che non nascano degli operai o impiegati artisti, il che sembra piuttosto raro. Gli artisti che vivono fuori, come possono penetrare in una industria? I pochi che ci lavorano diventano muti, per ragioni di tempo, di opportunità, ecc. Gli altri non ne capiscono niente: possono farvi brevi ricognizioni, inchieste, ma l’arte non nasce dall’inchiesta bensì dalla assimilazione. Anche per questo l’industria è inespressiva; è la sua caratteristica.
(Ottiero Ottieri)
La rassegna affonda le sue radici nel tentativo di raccontare un immaginario lavorativo che è stato negli ultimi decenni completamente devastato. Sono passati oltre cinquanta anni da quando il termine di letteratura industriale è stato coniato e valorizzato nelle pagine della rivista Menabò di letteratura attraverso un dibattito inaugurato da Elio Vittorini e Italo Calvino. Negli anni Sessanta la letteratura industriale ha infatti segnato un solco indelebile nella produzione narrativa italiana. Come viene riportato oggi dagli scrittori contemporanei il mondo della fabbrica e come invece veniva descritto cinquanta anni fa? Nei momenti di distacco dal lavoro l’operaio (oggi scolarizzato) sente la necessità di raccontarsi, ma lo fa in modo del tutto diverso dall’immagine che i narratori dell’età industriale ci hanno consegnato. Per questo nella rassegna di questo mese (il cui titolo evoca lo slogan Pane e rose adottato in varie epoche ed occasioni dagli operai in sciopero)– seppur senza pretese di esaustività – presentiamo opere di scrittori italiani che dagli anni Sessanta ad oggi raccontano il mondo del lavoro in fabbrica. Non si tratta solo di romanzi ma anche di opere ibride che intrecciano storie di famiglia, materiali d’archivio e memoir, narrazioni anche brevi che rivelano, soprattutto nella società di oggi, il bisogno serpeggiante e diffuso di riappropriarsi di uno scopo e di un’identità professionale, fatta di valore e indipendenza.
La scrittura di ieri
Tempi stretti di Ottiero Ottieri, Einaudi, 1957
Il ponte della Ghisolfa di Giovanni Testori, Feltrinelli, 1958
Donnarumma all'assalto di Ottiero Ottieri, Bompiani, 1959
La vita agra di Luciano Bianciardi, Rizzoli, 1962
Memoriale di Paolo Volponi, Einaudi, 1964
Il padrone di Goffredo Parise, Feltrinelli, 1965
Vogliamo tutto di Nanni Balestrini, Garzanti, 1971
La scrittura di oggi
La classe avversa di Alberto Albertini, Hacca, 2020>
Tuttofumo di Eugenio Raspi, Baldini & Castoldi, 2019
Meccanoscritto di Collettivo MetalMente con Wu Ming 2 e Ivan Brentari, Alegre, 2017
La fabbrica del panico di Stefano Valenti, Feltrinelli, 2013
Ternitti di Mario Desiati, Mondadori, 2012
La dismissione di Ermanno Rea, Rizzoli, 2002
- Ultimo aggiornamento venerdì, 4 novembre 2022