Le vesti di Maria: un sottile gioco di specchi, di Giorgio Ulivi
collage composito su tela di lino, cm 185x300
Collocata nell'atrio d'ingresso della San Giorgio, donata dall'artista Giorgio Ulivi nel 2014, a conclusione della mostra Una linea verso l'infinito (18 giugno - 12 luglio 2014), l'opera rappresenta un tentativo di confrontarsi con un vero e proprio segno-scrittura per indagare le possibilità espressive della superficie e del segno.
Ulivi è l'artista della libertà ed è presente con tutto se stesso in questo collage: ci sono il suo gioco ammiccante e deviante dei contrari, la sua allusività, i suoi dialoghi di forme, di presenze e assenze, il suo segno musicale e archetipo, la sua ricerca di uno spazio rigoroso e insieme sfuggente, i suoi cromatismi mediterranei e lirici, il suo geometrismo vibrante, il suo lucido distacco e il coinvolgimento emotivo, la sua luce dinamica, la sua tensione alla fuga.
C'è un segno-scrittura accettato e negato nelle sue valenze semantiche, connotato e insieme depurato del suo tempo storico e immesso in quello spazio metafisico e in quel tempo mitico e circolare, che tutto riassorbe e ricrea. E ci sono quei frammenti di carta strappata, quei frattali cromatici che sembrano acquietare, sulla pagina scritta, il loro movimento di danza, il loro volteggiare per l'aria e la loro leggera caduta che dipinge senza rigidità sulla superficie di segni, nuove linee di forza e nuovi equilibri e fa davvero cantare il colore.
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Ultimo aggiornamento martedì, 28 marzo 2023
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Collocata nell'atrio d'ingresso della San Giorgio, donata dall'artista Giorgio Ulivi nel 2014, a conclusione della mostra Una linea verso l'infinito (18 giugno - 12 luglio 2014), l'opera rappresenta un tentativo di confrontarsi con un vero e proprio segno-scrittura per indagare le possibilità espressive della superficie e del segno.
Ulivi è l'artista della libertà ed è presente con tutto se stesso in questo collage: ci sono il suo gioco ammiccante e deviante dei contrari, la sua allusività, i suoi dialoghi di forme, di presenze e assenze, il suo segno musicale e archetipo, la sua ricerca di uno spazio rigoroso e insieme sfuggente, i suoi cromatismi mediterranei e lirici, il suo geometrismo vibrante, il suo lucido distacco e il coinvolgimento emotivo, la sua luce dinamica, la sua tensione alla fuga.
C'è un segno-scrittura accettato e negato nelle sue valenze semantiche, connotato e insieme depurato del suo tempo storico e immesso in quello spazio metafisico e in quel tempo mitico e circolare, che tutto riassorbe e ricrea. E ci sono quei frammenti di carta strappata, quei frattali cromatici che sembrano acquietare, sulla pagina scritta, il loro movimento di danza, il loro volteggiare per l'aria e la loro leggera caduta che dipinge senza rigidità sulla superficie di segni, nuove linee di forza e nuovi equilibri e fa davvero cantare il colore.
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