Brama
"Brama" di Ilaria Palomba
«Sono una debole, questo mi dice Carlo. Che sono debole e priva di volontà, che mi lascio schiacciare da chiunque, quando invece vorrebbe essere lui, solo lui, a muovere i fili». È Bianca, voce narrante, che così si descrive nell’incipit del romanzo, facendo subito intuire quelli che sono i tre temi universali affrontati nell’opera e che emergeranno prepotenti nel corso di tutta la narrazione: le pulsioni dell’animo umano amore, odio e follia.
Bianca vive a Roma, ha meno di trenta anni ma sembra che ne abbia già vissuti il doppio, con un’esistenza spesa in eccessi, ossessioni e sofferenze e segnata dalla depressione e dai ricoveri in seguito a tre tentativi di suicidio («Amo il dolore … non posso fare a meno di portare la vita al limite»). Bambina prodigio, ha studiato Sociologia a Parigi, ha una vita agiata, una cerchia di amicizie e conoscenze importanti (intellettuali, artisti, mecenati), si interessa di Filosofia, Arte e Musica (decine sono nel romanzo le citazioni di filosofi, teologi, letterati, pittori, compositori) e ha un grande successo con gli uomini. È apparentemente “viva” dunque, ma in realtà la sua esistenza è una landa desolata, minata da una soffocante inquietudine e da faticosi rapporti conflittuali: in primis con sé stessa, poi con i genitori (una madre scontrosa e un padre inarrivabile, che costantemente cercano di redimerla ma che lei detesta e rifiuta) e con quasi tutte le persone che in un modo o in un altro le ruotano intorno. Bianca potrebbe condurre una vita appagante e stimolante, invece è tormentata dai fantasmi di un passato doloroso e di un presente che percepisce vuoto e opprimente, da un disagio emotivo che la annichilisce e dalla brama di una irraggiungibile quiete interiore e del consenso degli altri («Ho cercato solo la gloria, l’altrui approvazione, perché la coscienza era ridotta in macerie … Chissà poi cosa cercavo negli altri che non sono riuscita a trovare in me stessa»).
Ma che cosa significa “brama”? E che cosa è per Bianca questa parola che aleggia in tutto il romanzo, che dà il titolo all’opera e che ricorre spesso nella trama, in contesti diversi e nelle riflessioni della protagonista? Nella religione Brama è una delle manifestazioni di Dio nell’induismo (Brahma); brama è per Bianca il desiderio lacerante («una fame feroce» come lei stessa dice), è «la ricerca di attenzioni, di un riconoscimento, voler essere qualcosa per qualcuno, per mio padre in primo luogo. Annientando la brama vivevo in pace, prossima alla morte, ero piena di gioia, era l’unico modo in cui riuscissi a provarla». E non a caso Brama è anche il cognome di Carlo, personaggio più importante del libro oltre alla stessa Bianca, noto filosofo nichilista, con cui la giovane intraprende una relazione intensa e autodistruttiva.
La complessa relazione, quasi morbosa, fra Bianca e Carlo (che avrà un epilogo tragico anche se non del tutto inaspettato) e il tema del “possesso” dell’altro sono infatti al centro della trama. Nella relazione Bianca finisce con lo specchiarsi con la Salomè de «Il libro rosso» di C.G. Jung (libro più volte citato nel testo, dove si dice che ogni pensatore deve temere Salomè e se non sarà in grado di farsi carico della parte emozionale femminile perderà la testa, come San Giovanni) e Carlo finisce col rappresentare Giovanni Battista («Sono io la Salomè da cui (Carlo) fugge»). C’è molto di Salomé in Bianca, inconsapevolmente, perché Bianca appare debole, una vittima, fragile, che non regge le frustrazioni e che si innamora in modo disperato e abbandonico di Carlo. Per Bianca Carlo è la svolta, un amore disperato che arriva dopo prove insormontabili, è la luce nel buio, ma entrambi non amano la vita e sono uniti solo dal parlare lo stesso linguaggio, magistralmente composto di simboli, eroi letterari, musicisti e filosofi. Per Bianca Carlo è il maestro, il genio, la guida, ma non si accontenta, vuole proprio diventare lui, fondersi con lui, in un delirio carnale e metafisico («Desidero essere lui e l’ho capito fin dal primo momento in cui gli ho rivolto la parola»), salvo rendersi conto dell’irrazionalità di questa fantasia («Non sarò mai lui, a malapena riesco a essere me stessa»).
Pur nella neanche troppo sottesa complessità e crudezza di tutta la vicenda, il vero protagonista che in definitiva emerge prepotentemente e che si traduce nella vera brama, nel “desiderio lacerante” di Bianca, l’unica cosa per cui ha senso lottare, è però positivo, semplice e genuino: “l’amore”. Perché, pur consapevole dei suoi stessi limiti («Non mi sono mai amata e non mi perdono per non essermi amata» dice Bianca, e «Non credo che vi possa essere qualcuno in grado di farmi provare un sentimento anche minimamente simile all’amore»), è come se Bianca gridasse al mondo intero: «… domandiamo al mondo un amore che ci viene ogni volta negato, ma senza amore si cresce vuoti come piante secche e si muore».
Paola Fagnani (Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento mercoledì, 9 settembre 2020
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"Brama" di Ilaria Palomba
«Sono una debole, questo mi dice Carlo. Che sono debole e priva di volontà, che mi lascio schiacciare da chiunque, quando invece vorrebbe essere lui, solo lui, a muovere i fili». È Bianca, voce narrante, che così si descrive nell’incipit del romanzo, facendo subito intuire quelli che sono i tre temi universali affrontati nell’opera e che emergeranno prepotenti nel corso di tutta la narrazione: le pulsioni dell’animo umano amore, odio e follia.
Bianca vive a Roma, ha meno di trenta anni ma sembra che ne abbia già vissuti il doppio, con un’esistenza spesa in eccessi, ossessioni e sofferenze e segnata dalla depressione e dai ricoveri in seguito a tre tentativi di suicidio («Amo il dolore … non posso fare a meno di portare la vita al limite»). Bambina prodigio, ha studiato Sociologia a Parigi, ha una vita agiata, una cerchia di amicizie e conoscenze importanti (intellettuali, artisti, mecenati), si interessa di Filosofia, Arte e Musica (decine sono nel romanzo le citazioni di filosofi, teologi, letterati, pittori, compositori) e ha un grande successo con gli uomini. È apparentemente “viva” dunque, ma in realtà la sua esistenza è una landa desolata, minata da una soffocante inquietudine e da faticosi rapporti conflittuali: in primis con sé stessa, poi con i genitori (una madre scontrosa e un padre inarrivabile, che costantemente cercano di redimerla ma che lei detesta e rifiuta) e con quasi tutte le persone che in un modo o in un altro le ruotano intorno. Bianca potrebbe condurre una vita appagante e stimolante, invece è tormentata dai fantasmi di un passato doloroso e di un presente che percepisce vuoto e opprimente, da un disagio emotivo che la annichilisce e dalla brama di una irraggiungibile quiete interiore e del consenso degli altri («Ho cercato solo la gloria, l’altrui approvazione, perché la coscienza era ridotta in macerie … Chissà poi cosa cercavo negli altri che non sono riuscita a trovare in me stessa»).
Ma che cosa significa “brama”? E che cosa è per Bianca questa parola che aleggia in tutto il romanzo, che dà il titolo all’opera e che ricorre spesso nella trama, in contesti diversi e nelle riflessioni della protagonista? Nella religione Brama è una delle manifestazioni di Dio nell’induismo (Brahma); brama è per Bianca il desiderio lacerante («una fame feroce» come lei stessa dice), è «la ricerca di attenzioni, di un riconoscimento, voler essere qualcosa per qualcuno, per mio padre in primo luogo. Annientando la brama vivevo in pace, prossima alla morte, ero piena di gioia, era l’unico modo in cui riuscissi a provarla». E non a caso Brama è anche il cognome di Carlo, personaggio più importante del libro oltre alla stessa Bianca, noto filosofo nichilista, con cui la giovane intraprende una relazione intensa e autodistruttiva.
La complessa relazione, quasi morbosa, fra Bianca e Carlo (che avrà un epilogo tragico anche se non del tutto inaspettato) e il tema del “possesso” dell’altro sono infatti al centro della trama. Nella relazione Bianca finisce con lo specchiarsi con la Salomè de «Il libro rosso» di C.G. Jung (libro più volte citato nel testo, dove si dice che ogni pensatore deve temere Salomè e se non sarà in grado di farsi carico della parte emozionale femminile perderà la testa, come San Giovanni) e Carlo finisce col rappresentare Giovanni Battista («Sono io la Salomè da cui (Carlo) fugge»). C’è molto di Salomé in Bianca, inconsapevolmente, perché Bianca appare debole, una vittima, fragile, che non regge le frustrazioni e che si innamora in modo disperato e abbandonico di Carlo. Per Bianca Carlo è la svolta, un amore disperato che arriva dopo prove insormontabili, è la luce nel buio, ma entrambi non amano la vita e sono uniti solo dal parlare lo stesso linguaggio, magistralmente composto di simboli, eroi letterari, musicisti e filosofi. Per Bianca Carlo è il maestro, il genio, la guida, ma non si accontenta, vuole proprio diventare lui, fondersi con lui, in un delirio carnale e metafisico («Desidero essere lui e l’ho capito fin dal primo momento in cui gli ho rivolto la parola»), salvo rendersi conto dell’irrazionalità di questa fantasia («Non sarò mai lui, a malapena riesco a essere me stessa»).
Pur nella neanche troppo sottesa complessità e crudezza di tutta la vicenda, il vero protagonista che in definitiva emerge prepotentemente e che si traduce nella vera brama, nel “desiderio lacerante” di Bianca, l’unica cosa per cui ha senso lottare, è però positivo, semplice e genuino: “l’amore”. Perché, pur consapevole dei suoi stessi limiti («Non mi sono mai amata e non mi perdono per non essermi amata» dice Bianca, e «Non credo che vi possa essere qualcuno in grado di farmi provare un sentimento anche minimamente simile all’amore»), è come se Bianca gridasse al mondo intero: «… domandiamo al mondo un amore che ci viene ogni volta negato, ma senza amore si cresce vuoti come piante secche e si muore».
Paola Fagnani (Biblioteca San Giorgio)
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