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Elias Canetti

 

 

Elias Canetti è un autore complesso, capace di trattare in modo profondo ed accattivante diversi generi letterari. Dalle sue opere scaturisce il ritratto di un uomo dotato di intelligenza e curiosità, formatosi in mezzo a linguaggi ed ambienti diversi, dedito a sviluppare nel modo più scrupoloso possibile le proprie riflessioni e convinzioni.

Molte le persone e gli eventi che hanno attraversato la sua vita, formatasi in ambienti diversi per cultura e lingua. La sua formazione pare segnata soprattutto dal legame con la madre e dalla morte del padre, dalle continue trasformazioni che ha modo di apprezzare, ma anche di subire, a causa dei numerosi trasferimenti della sua famiglia. Numerosi e vividi i ricordi di questa vita ‘errabonda’, anche traumatici, come l’incendio del Palazzo di Giustizia viennese nel 1927 a cui ha modo di assistere ancora giovanetto.

Canetti ripercorre la sua vita nei tre volumi dell’autobiografia: attraverso un affinamento dei sensi che inizia dalla lingua - su cui soprattutto si basa l’opera “La lingua salvata” - passa per l'orecchio (“Il frutto del fuoco”) e si conclude negli occhi (“Il gioco degli occhi”), lo scrittore diventa un vero e proprio “segugio del proprio tempo”, caratteristica indispensabile del filosofo in quanto tale. Secondo Canetti, infatti, il filosofo non è colui che getta un fugace sguardo sull'esterno per poi dettare sentenze, ma colui che si trasforma, assume diversi punti di vista per riuscire a vedere, osservare, ascoltare e decostruire la realtà.

Soprattutto il linguaggio, per Canetti, può essere una forma di “inganno”, poiché, ben lontano dal comunicare, può risultare il mezzo perfetto per nascondere la realtà: quante volte nella storia un bravo oratore è riuscito ad assumere il potere riuscendo a soggiogare una massa di uomini? Il potere e la massa sono uno degli altri argomenti cari a Canetti, ai quali dedica una profonda e articolata riflessione nel saggio del 1960, “Massa e potere”. Temi così imponenti portano con sé una minuziosa ricerca che coinvolge altre questioni, fra le quali la morte, soggetto che più volte ritorna negli scritti canettiani (dagli appunti come nel caso de “Il libro contro la morte” alle note di viaggio come nel caso de “Le voci di Marrakech”, all’opera “Potere e sopravvivenza”).

Utilizzando un modo d'esprimersi fondato sulla potenza delle immagini, Canetti dimostra il grande pregio di saper comunicare in modo semplice e intuitivo questioni assai problematiche, riuscendo ad avvicinare un pubblico assai ampio.


Massa e potere
Pubblicato dopo ben 38 anni di elaborazione, “Massa e potere” rappresenta “l'opera di una vita” di Canetti, dove le vicissitudini personali e l'acuta osservazione del proprio tempo si mescolano generando una scrupolosa riflessione sociologica sulle masse.
La manifestazione del 1922 contro l'assassinio di Rathenau e soprattutto l'incendio del 1927 al Palazzo di Giustizia di Vienna segnano per sempre la vita di Canetti, inducendolo a dedicare la propria esistenza alle dinamiche interne ed esterne alle masse.
Se il più grande timore dell'uomo è l'esser toccato, solo nella massa questa paura svanisce: anzi, il contatto viene desiderato e ricercato fino a sentirsi organi di uno stesso corpo. È proprio intorno a questa tesi iniziale che l'autore costruisce l'intero volume, per poi inoltrarsi nelle più invisibili sfumature relative alle masse e al legame del potere con esse. Tra parallelismi con il mondo animale e metafore implicanti organi umani, Canetti espone con chiarezza e fluidità concetti a lui cari come metamorfosi, maschera acustica e spina, fino a esplicare ogni differente modo di rivelarsi delle masse e ogni declinazione del potere esprimibile nei termini di comando, obbedienza, manipolazione, sopravvivenza, morte e altri ancora.

La lingua salvata. Storia di una giovinezza

I primi ricordi di Canetti si aprono con un episodio violento: ogni mattina un uomo sorridente gli intima di mostrare la lingua e, brandendo un coltellino, minaccia di tagliargliela; all'ultimo momento, però, l'uomo ritira la lama rimandando l'atto al giorno dopo. La lingua, in senso fisico e figurato, viene a configurarsi come il perno intorno al quale ruotano le vicende della giovinezza canettiana: nato in Bulgaria da genitori che parlano giudeospagnolo con il figlio e tedesco fra loro, l'autore si trova immerso in un mondo fatto di parole e di idiomi diversi, dal quale non può che rimanere profondamente affascinato. L'amore per le lettere del padre e la profonda cultura della madre sono le fondamenta sulle quali Canetti edifica la propria formazione, caratterizzata da spiccate capacità di ascolto e di osservazione. La morte del padre e l'insegnamento rigido della madre, al quale si accompagna un rapporto vitale quanto contraddittorio, marchiano inesorabilmente l'esistenza del piccolo Canetti, che con amarezza e terrore è costretto infine ad abbandonare “il paradiso zurighese”.

Il frutto del fuoco. Storia di una vita (1921-1931)
Abbandonata l'adorata Zurigo, il sedicenne Canetti si trova a Francoforte, dove inizia a sperimentare un nuovo approccio alla realtà, non più unicamente ricettivo ma critico e riflessivo.
La narrazione incentrata sui vari personaggi della pensione Charlotte, sugli intellettuali berlinesi, sugli ascoltatori di Kraus e sui manifestanti viennesi forniscono un quadro indiretto del pensiero e del carattere di Canetti, il quale riesce a disegnare il clima caotico della Francoforte, della Vienna e della Berlino di quell'epoca attraverso storie e immagini.
Un ruolo centrale assume la strage dei manifestanti operata dalla polizia federale dopo l'incendio del Palazzo di Giustizia a Vienna: un evento al quale Canetti assiste e che segna per sempre la sua vita, al punto da ispirare il suo unico romanzo, “Auto da fé”. Uno sfondo di attriti e “fuochi” è dunque quello che accompagna Canetti durante la permanenza in queste città, sfondo del quale questo volume rappresenta il “frutto”.

Il gioco degli occhi. Storia di una vita (1931-1937)
Le prime pagine sono impregnate di tormento per aver dato alle fiamme la libreria di Kien, segnando così la morte del personaggio: “Auto da fé” è già stata pubblicata quando l'autore apre il racconto delle vicende nella Vienna degli anni 30. Canetti non si dà pace, si sente partecipe di un vero assassinio, il finale del suo unico romanzo lo ha segnato in modo indelebile: solo l'incontro con il dottor Sonne, figura che racchiude in sé un prestigio culturale ideale, lo aiuta a superare il supplizio. Straordinari personaggi seguono infatti la storia di Canetti, che non fornisce solo ritratti di persone per noi “senza volto” ma di intellettuali di spicco di quegli anni. Compaiono sulla scena Robert Musil, Hermann Broch, Franz Werfel, Ludwig Hart e altri ancora, senza dimenticare Alma Mahler, della quale l'autore esibisce una descrizione schietta e inaspettata. Canetti non lascia indietro la figura della madre, presente da sempre nelle sue memorie, così come la riflessione sulla morte, più volte comparsa nei suoi scritti e protagonista nella chiusura di questo volume.

Auto da fé
La conversazione iniziale fra il professor Kien e un vispo ragazzo trae il lettore in inganno, inducendolo ad avere una percezione del protagonista ben lontana da quella reale: Kien, schivo e scontroso, si pente immediatamente di quella furtuita chiacchierata. Rappresentando una vera e propria “testa senza mondo”, Kien rifiuta ogni legame con il mondo e si chiude in se stesso, nella sua mente lontana dagli esseri umani quanto vicina ai suoi amati libri. Uomo di incredibile cultura, esperto sinologo, Kien possiede un'immensa libreria, un mondo formato da infiniti volumi, con i quali il professore parla come parlerebbe a una persona. Nonostante l'entrata in scena di diversi personaggi, fra cui la governante Therese, che il protagonista sposa, Kien rimane un elemento distaccato dalla società, vittima di un solipsismo da erudito che lo conduce passo dopo passo alla follia. “Auto da fè”, un titolo che richiama la cerimonia religiosa che l'Inquisizione spagnola praticava contro le eresie e gli eretici, i quali nel peggiore dei casi venivano arsi vivi: il fuoco che ha devastato il Palazzo di Giustizia viennese sembra essere destinato a bruciare ancora.

Il libro contro la morte
Una battaglia durata tutta una vita contro la morte; quella morte dalla quale l'uomo è sovrastato ma che al contempo egli sembra amare, quella morte che il potere istituzionalizza e usa come strumento per il proprio mantenimento e quella morte che in qualche modo fa sentire l'uomo ancora più vivo: in questi appunti raccolti e organizzati postumi, vi sono racchiusi il pensiero e la conclusione intorno uno dei temi più rilevanti dell'esistenza dell'autore. Il volume è composto da brevi storie, satire, aforismi e riflessioni, strutturate secondo un solo filo conduttore: una potente negazione della morte. Quest'ultima “torna sempre a presentarsi come soluzione radicale, fa notare che al di fuori di lei non c'è nessuna soluzione vera”, afferma l'autore in “La provincia dell'uomo” del 1973. Una verità della quale Canetti rende partecipe il lettore in modo sottile quanto impressionante attraverso l'unica arma che l'autore possiede e difende, la matita.

 

Percorso bibliografico a cura di Alessandra Bruschi, tirocinante presso la Biblioteca San Giorgio, anno accademico 2018-2019

 

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