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Vieni in Italia con me

 

“Se mi chiedete cosa c’è nel mio futuro, vi rispondo: dell’altro futuro.” [Massimo Bottura]

 

Nel febbraio 2009, mentre a Londra l’Osteria Francescana di Massimo Bottura veniva accolta per la prima volta nell’empireo dei World’s 50 Best Restaurants mondiali, per la precisione al tredicesimo posto, primo assoluto dei ristoranti italiani, sugli schermi italiani il noto programma “Striscia la notizia” mandava in onda la prima puntata di un’inchiesta sulla cucina molecolare, diffondendo il reportage di un’incursione nel ristorante modenese in cui gli inviati di Mediaset demolivano uno ad uno i piatti del menu degustazione, mettendone in dubbio in modo becero e offensivo la credibilità, e accusando anche i procedimenti innovativi della cucina molecolare di essere nocivi per la salute. Passarono pochi giorni e la cucina di Bottura, ormai al centro di uno scandalo in seguito alle insinuazioni di Striscia la notizia, fu oggetto di una perquisizione dei NAS, che non riscontrò niente di irregolare.

Questo è forse uno dei momenti simbolicamente più significativi della parabola storica di quello che è diventato nella sua vicenda ventennale (fu aperto da Bottura nel 1995, dopo una lunga parentesi di formazione sotto l’egida del grande Alain Ducasse) il luogo simbolo della cucina innovativa italiana. È un episodio che racconta molto della lotta contro gli stereotipi e i pregiudizi che l’Osteria Francescana ha dovuto combattere in Italia, certamente non in solitudine ma di sicuro in prima fila, per affermare la propria idea di tradizione nell’ambito di quella che è probabilmente l’arte più universale: l’arte gastronomica.

Toccare le ricette della nonna in un paese in cui l’identità delle persone è legata soprattutto a quello che è stata abituata a trovare in tavola dall’infanzia in poi è un’azione che necessita di coraggio e convinzione ed è una calzante metafora di tutti i genere di tensione tra i tentativi di innovazione e le resistenze culturali, provinciali e pragmatiche, annidate sia nei più grandi agglomerati sia nei più minuscoli atomi del potere nel cosiddetto Belpaese.

Per fortuna negli anni che ci separano da quel 2009 di passi avanti ne sono stati fatti (e non solo nella direzione di un generale imbarbarimento, come qualcuno vorrebbe far credere) sia nell’universo della ristorazione italiana sia, in particolare, per la fortuna dell’Osteria, che nel 2011 ha conquistato la terza stella Michelin e il cui chef è ormai una consacrata stella della cucina internazionale a tutto tondo.

Cosa ci sia sotto questa storia, apparentemente semplice, di un ingegno tutto italiano alla conquista del mondo e del futuro contro tutte le resistenze insite delle proprie radici, è oggi raccontato nel bellissimo volume in grande formato Vieni in Italia con me, realizzato da Bottura con le fotografie di Carlo Benvenuto e Stefano Graziani, ed edito in Italia da L’ippocampo di Milano.

Bottura vi racconta in prima persona il fittissimo gomitolo di relazioni tra la propria cucina e l’arte contemporanea (il libro inizia con un dialogo tra lo chef modenese e l’artista Maurizio Cattelan), l’origine e l’evoluzione della propria idea del rapporto tra tradizione e innovazione, la propria vicenda professionale e intellettuale. In quattro diversi capitoli si sgranano, insieme alle fotografie, i racconti dell’ispirazione e della tecnica  all’origine di quarantotto dei suoi piatti che hanno fatto storia, dal “Ricordo di un panino alla mortadella” e dal “Bollito non bollito” del capitolo dedicato alle prime innovazioni nel solco della tradizione fino alle più ardite innovazioni concettuali, come “La dame et son chevalier: la parte croccante delle lasagne” o “La neve al sole!”.

Concludono il libro una sezione con le quarantotto ricette raccontate e illustrate in precedenza e un racconto autobiografico che prende le mosse dal sabato mattina del 1986 in cui i fratelli Bottura fecero visita al gestore di una trattoria a Campazzo “il posto più anonimo e meno promettente dell’universo per una trattoria”. Da lì in poi la lunga cavalcata passando dall’incontro con la fidata cuoca Lidia Cristoni, l’apertura della Trattoria del Campazzo, la formazione con Georges Cogny, il tirocinio con Ducasse, gli incontri che lo hanno fatto maturare, a partire da quello con Ferran Adrià, e via e via. Il tutto raccontato sotto il motto da cui prese nome una storica squadra di pallavolo modenese dell’immediato dopoguerra, la cui coccarda sbucò un giorno da un cassetto di album di foto e vecchi ricordi di casa Bottura: Avia Pervia, ovvero “rendiamo facili le cose difficili”. Forse è vero che le buone lezioni del passato sono quelle che disegnano la strada più diretta per il futuro.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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