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Una donna

Mia madre è morta lunedì 7 aprile nella casa di riposo dell’ospedale di Pontoise, dove l’avevo portata due anni fa. Al telefono l’infermiere ha detto: «Sua madre si è spenta questa mattina, dopo aver fatto colazione». Erano circa le dieci.

Questo è l’incipit secco e freddo senza orpelli di Una donna, il romanzo con cui Annie Ernaux (nella consueta splendida traduzione di Lorenzo Flabbi) ci racconta, in poco meno di cento pagine, la vita e la morte di sua madre, ripercorrendo pezzi della sua storia familiare e personale. Il racconto della vita della donna diventa un continuo andirivieni fra ritratto storico sociale, racconto autobiografico e ricostruzione biografica.  Nelle pagine del romanzo la figura della madre viene analizzata, dissezionata, osservata nei suoi comportamenti di genitrice, moglie e nonna dall’unica figlia amatissima ma molto diversa da lei. Questa donna onnipresente segue la figlia finché può lasciandola libera di andare via, sposarsi,  avere dei figli e separarsi dal marito. Dopo la morte del suo uomo accetterà di vivere con la famiglia della figlia, sentendosi inutile, fuori posto e inadeguata e deciderà di far ritorno nel luogo dove ancora ha qualche eredità dal passato. Quando sopraggiunge la malattia (una grave forma di demenza) l’autrice ci racconta della mamma chiusa in clinica, del senso di colpa per averla lasciata lì; ci parla della sua voglia di nutrirla, toccarla, ascoltarla e soprattutto non lasciarla andare via e racconta così un amore che in vita non era riuscito ad estrinsecarsi in gesti d’affetto fisico, permeato da un formalismo sociale accentuato dai tempi e della circostanze della vita che avevano tenuto separate dal muro della malattia madre e figlia. Una lettura emozionante e vera che cattura l’attenzione del lettore non con il meccanismo della suspense o dell’enfasi, ma con la condivisione della forza delle emozioni, attraverso una scrittura limpida e piana in cui ogni parola occupa un posto ben preciso.

Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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