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Tutto chiede salvezza

«Una parola per dire quello che voglio veramente, questa cosa che mi porto dalla nascita, prima della nascita, che mi segue come un’ombra, stesa sempre al mio fianco. Salvezza. Questa parola non la dico a nessuno oltre me. Ma la parola eccola, e con lei il suo significato più grande della morte. Salvezza. Per me. Per mia madre all’altro capo del telefono. Per tutti i figli e tutte le madri. E i padri. E tutti i fratelli di tutti i tempi passati e futuri. La mia malattia si chiama salvezza…».

È l’estate del 1994. Daniele Mencarelli (alter ego dell’autore) ha soltanto venti anni ma già una vita segnata dall’abuso di sostanze stupefacenti e dal disagio psichico, per cui è in cura da tempo. Daniele è un ragazzo mite e sensibile, ma profondamente infelice e tormentato dagli interrogativi brucianti di una dolorosa crisi esistenziale e dalla ricerca di un senso dell’esistenza, sentendo dentro di sé il peso di tutta la sofferenza del mondo.

Profondamente pessimista e deluso, Daniele si rende conto della sua infelicità ma non riesce a trovare un modo per superarla e per riappacificarsi con sé stesso e con il mondo. Ma arriva la svolta. In seguito a una violenta crisi di rabbia contro il padre Daniele viene ricoverato in una struttura nei pressi dei Castelli romani e sottoposto a un TSO (trattamento sanitario obbligatorio) di una settimana.

Daniele trascorre l’internamento con alcuni compagni di stanza, travolti come lui dalla propria condizione, con i quali, dopo l’iniziale diffidenza, giorno dopo giorno stringe un forte legame fatto di umanità, senso di fratellanza e sostegno reciproco.

Il romanzo è il diario dei sette giorni di TSO del protagonista e scandisce le ore trascorse in reparto, raccontando il rapporto di Daniele con gli altri cinque ricoverati: Gianluca, un omosessuale bipolare che fa di tutto per guadagnarsi (invano) l’attenzione degli altri; Mario, un ex maestro di scuola che mangia solo mele cotte, che si interessa solo di un passero che vede dalla finestra e che ha «gli occhi che passano dalla dolcezza all’abisso»; Madonnina, bizzarro sessantenne così chiamato perché parla soltanto con Madonna, ripetendo come un mantra l’invocazione “Maria ho perso l'anima! Aiutami Madonnina mia!”; Alessandro, giovane in stato quasi vegetativo «che guarda fisso nel vuoto come un robot spento»; Giorgio, al suo quarto TSO, apparentemente pericoloso ma in realtà soltanto un “bambinone” bisognoso di affetto.

Nelle giornate, che sono cadenzate dalle cure mediche e dalle visite di medici sbrigativi e svogliati, la condivisione quotidiana del proprio destino, di ricordi, sogni e desideri e il forte senso di comunità diventano per i ricoverati l’unica salvezza, e Daniele si rende conto che questi “matti” (diventati in pochi giorni come una famiglia) sono la cosa più somigliante alla sua vera natura che gli sia mai capitato di incontrare.

«Con loro non ho avuto la possibilità di mentire, di recitare la parte del perfetto, mi hanno accolto per quello che sono, per la mia natura così simile alla loro. … Quei cinque pazzi sono la cosa più simile all’amicizia che abbia mai incontrato, di più, sono fratelli offerti dalla vita, trovati sulla stessa barca, in mezzo alla medesima tempesta, tra pazzia e qualche altra cosa che un giorno saprò nominare».

Candidato con questo romanzo al Premio Strega 2020, con una delicatezza e una dolcezza uniche, dalla prima all’ultima pagina l’autore ci dà una lezione di umanità e di pietà, che paiono ritrovarsi più nei precipizi della follia che nella normalità del vivere comune. Una commovente storia di sofferenza ma anche di speranza e di riscatto, che ci fa credere che ci può essere salvezza per tutti: e dove trovarla se non nel profondo rispetto per gli altri, anche se “diversi”? Perché «Questi sono posti che non vanno tanto a braccetto con la ragione, ma il rispetto verso gli altri è il primo comandamento, tanto ci pensiamo noi a farci del male».

Paola Fagnani (Biblioteca San Giorgio)

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