Tigre per sempre
Uruguaiano, del 1878. Ancora piccolissimo perde il padre che muore per un incidente col fucile. Il patrigno si uccide quando lui ha 12 anni. Moriranno poi suicide anche la moglie e la figlia. Amante della solitudine e delle donne. Attraversa l’oceano nel 1900 per visitare Parigi e conoscere i fermenti dell’arte europea. Torna con una barba che fece epoca. Scrive racconti bellissimi e inventa imprese commerciali destinate al fallimento. Appassionato di cinema, ciclista fotografo, sperimentatore di galvanoplastica e amante della velocità. Uccide per errore il suo migliore amico con un colpo di fucile partito accidentalmente e, sconvolto, abbandona l’Uruguay per Buenos Aires. Lascia la metropoli perché ama la selva, dove colleziona pelli di anaconda, e lascia la selva perché ama la metropoli. Prostrato dalla vita e dal decorso di un tumore alla prostata, si suicida nel 1937.
La vita di Horacio Quiroga meriterebbe da sola un grande autore che ne facesse un romanzo. Per adesso dobbiamo invece accontentarci dei racconti di questo notevole scrittore, considerato uno dei padri del racconto sudamericano moderno.
Borges lo stroncò dicendo che Quiroga scriveva "racconti che aveva scritto meglio Kipling" e lui rispose indirettamente con un semi-ironico Decalogo del perfetto scrittore di racconti il cui primo punto è "Credi nel maestro - Poe, Maupassant, Kipling, Čechov - come in Dio stesso" e poco dopo, nel terzo punto, “Resisti quanto puoi all’imitazione, ma imita, se l’influsso è troppo forte. Più di qualsiasi altra cosa, lo sviluppo della personalità è una scienza.”
In questo Tigre per sempre, il curatore Jaime Riera Rehren lascia da parte il Quiroga scrittore per ragazzi, quello più kipliniano, ma rende conto sia della sua ispirazione “metropolitana” sia di quella “selvaggia”, componendo un’ampia scelta di racconti provenienti dalle sue maggiori raccolte, da Racconti d’amore di follia e di morte del 1917 a “L’oltre” del 1935. Sono racconti violenti, arcaici e allucinati. Bellissima la prefazione di Ernesto Franco, composta seguendo passo passo il Decalogo dello stesso Quiroga.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 7 novembre 2016
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Uruguaiano, del 1878. Ancora piccolissimo perde il padre che muore per un incidente col fucile. Il patrigno si uccide quando lui ha 12 anni. Moriranno poi suicide anche la moglie e la figlia. Amante della solitudine e delle donne. Attraversa l’oceano nel 1900 per visitare Parigi e conoscere i fermenti dell’arte europea. Torna con una barba che fece epoca. Scrive racconti bellissimi e inventa imprese commerciali destinate al fallimento. Appassionato di cinema, ciclista fotografo, sperimentatore di galvanoplastica e amante della velocità. Uccide per errore il suo migliore amico con un colpo di fucile partito accidentalmente e, sconvolto, abbandona l’Uruguay per Buenos Aires. Lascia la metropoli perché ama la selva, dove colleziona pelli di anaconda, e lascia la selva perché ama la metropoli. Prostrato dalla vita e dal decorso di un tumore alla prostata, si suicida nel 1937.
La vita di Horacio Quiroga meriterebbe da sola un grande autore che ne facesse un romanzo. Per adesso dobbiamo invece accontentarci dei racconti di questo notevole scrittore, considerato uno dei padri del racconto sudamericano moderno.
Borges lo stroncò dicendo che Quiroga scriveva "racconti che aveva scritto meglio Kipling" e lui rispose indirettamente con un semi-ironico Decalogo del perfetto scrittore di racconti il cui primo punto è "Credi nel maestro - Poe, Maupassant, Kipling, Čechov - come in Dio stesso" e poco dopo, nel terzo punto, “Resisti quanto puoi all’imitazione, ma imita, se l’influsso è troppo forte. Più di qualsiasi altra cosa, lo sviluppo della personalità è una scienza.”
In questo Tigre per sempre, il curatore Jaime Riera Rehren lascia da parte il Quiroga scrittore per ragazzi, quello più kipliniano, ma rende conto sia della sua ispirazione “metropolitana” sia di quella “selvaggia”, componendo un’ampia scelta di racconti provenienti dalle sue maggiori raccolte, da Racconti d’amore di follia e di morte del 1917 a “L’oltre” del 1935. Sono racconti violenti, arcaici e allucinati. Bellissima la prefazione di Ernesto Franco, composta seguendo passo passo il Decalogo dello stesso Quiroga.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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