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Prove di libertà

 

In collaborazione con il Premio letterario Internazionale Ceppo Pistoia, proponiamo le motivazioni dei tre vincitori dell'edizione 2013, dedicata alla poesia.

Stefano Dal Bianco vince il Premio Selezione Ceppo Poesia 2013 con Prove di libertà per aver illustrato ad alto livello due tratti caratterizzanti della poesia contemporanea: il disagio esistenziale, legato a un’angosciosa incertezza metafisica, e il tentativo di riunire due visioni del mondo molto diverse, quella orientale e quella occidentale, con un linguaggio che, partendo dalle proposte dirompenti delle avanguardie, soprattutto del Surrealismo, ha saputo moderarsi, contenersi e adattarsi a modalità più comunicative e immediate.

Già il titolo della raccolta rivela un’ambiguità – quasi sicuramente voluta dall’autore – derivata dalla parola “prove”: cosa ci vuol dire, certezze o tentativi di libertà? Il poeta è in grado di “provare” (in maniera più o meno inconfutabile) che la libertà esiste e si può ottenere? Oppure può soltanto “provare a”, nel senso di cercare di trovarla, senza avere nessuna garanzia di riuscirci? La poesia di Dal Bianco parte subito da un'affermazione che cancella l’illusione di libertà: egli, in effetti, scrive, come ci dice già nel primo componimento, Dalla gabbia, per constatare che quello che si prova è unicamente «dolore», «solitudine», «vuoto vissuto male, / mancanza o assenza di uno scopo». E tutta la prima parte del libro insiste sul tema del “vuoto” in cui si svolge l’esistenza ma anche i rapporti più importanti: quello amoroso e quello poetico. In entrambi, il partner – sia la donna amata, che la poesia (ma anche il figlio nella seconda parte) – si configurano come un vuoto che attira e che tuttavia rassicura, “alieno da certezze” eppure confortante. La vera svolta comunicativa del libro appare tuttavia nella terza parte, Aforismi di lavoro, dove mediante una serie di quattro epigrafi il lettore è invitato a entrare in ambito mistico, guidato in particolare dal sufismo e dai vangeli gnostici. I ricchi e complessi fondamenti filosofici della sua poesia ci spingono a mettere in dubbio tutto ciò che la nostra cultura ci ha trasmesso, anzi a elevare il dubbio a principio, ad accettare l’assoluta unità del tutto e quindi anche del divino e l’umano; e soprattutto, alla fine, in Esseri umani, di smettere d’interrogarci, finire questo «gioco di criceti ingabbiati», non badare più alla «funzione» delle cose bensì alla «finalità», e quindi «fermiamoci, entriamo di notte nel bosco e ascoltiamo». Con questo abbozzo di risposta finale, il poeta apre la strada a un’altra importante presa di coscienza del nostro tempo: quella dell’armonia della natura e del rispetto ecologico.

Martha Canfield (poeta e critico, Università di Firenze)

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