Proleterka
“Sono passati molti anni e questa mattina ho un desiderio improvviso: vorrei le ceneri di mio padre”
Con questa frase, che rimanda suggestivamente a Camus, inizia il romanzo Proleterka, di Fleur Jaeggy, scrittrice (e traduttrice) appartata e schiva, italiana anche se nata nel 1940 a Zurigo.
A pronunciare queste parole è la protagonista del libro, una donna sulla cinquantina, probabilmente nubile, che con sguardo freddo e razionale, ripercorrendo la propria vicenda esistenziale, riscopre anche il proprio passato familiare.
Tanti anni prima, il padre, morto per una malattia cardiaca, era stato cremato, e la figlia aveva messo un chiodo nella tasca della sua giacca perché almeno quel chiodo non scomparisse per sempre con il suo corpo. Il chiodo le verrà restituito dalla ditta preposta alla cremazione. A partire da questo luttuoso ricordo, la protagonista (che non ha nome) rievoca il suo unico viaggio con il padre, quando lei era ancora una ragazzina. Una crociera primaverile, da Venezia alla Grecia, su una nave jugoslava chiamata appunto Proleterka; un’occasione d’oro per conoscere quel padre che, in precedenza, a seguito della separazione dei genitori, non aveva avuto la possibilità di frequentare.
Padre e figlia sono come due monadi estranee, due mondi le cui orbite parallele non sembrano destinate ad intersecarsi, e il viaggio – durante il quale la ragazza sperimenterà per la prima volta degli squallidi rapporti sessuali – in realtà sancirà l’addio definitivo al genitore, destinato comunque a morire poco tempo dopo. Lei infatti, a rafforzare quel senso di lontananza e distacco, non lo chiama mai “papà”, ma Johannes, quasi fosse un perfetto estraneo. Ma la protagonista, in realtà, guarda tutti come se fossero degli estranei, anche se stessa. È un’estraneità tragica, quasi biologica (“In un certo modo alcuni abbandonano gli affetti, i sentimenti come fossero cose. Con determinazione, senza tristezza. Diventano estranei”).
In una società in cui l’avere conta più dell’essere, Johannes, a cui era capitata la sventura di perdere tutto il suo patrimonio ma non la vita, era stato ostracizzato, declassato a persona insignificante, e impedito di frequentare la figlia. La ragazzina crescerà così presso la casa della nonna materna, che sembra una nazista: ama, con “passione autistica”, che trasmette anche alle figlie, le camelie e le rose ma non gli esseri umani (“donne che pensano esclusivamente ai loro fiori… che hanno una passione vorace, segreta…sembra soltanto qualcosa di gentile. Interessarsi alla natura. E invece hanno un profondo astio, un astio viscerale verso il mondo, l’esistenza. Verso gli uomini. Verso il genere maschile…”)
L’estraneità e il disprezzo permeano tutti i rapporti umani in questo breve ma intenso romanzo, che, soprattutto nelle prime cento pagine, con la sua prosa secca, “nevrotica”, dimessa ma vividamente espressiva, raggiunge vette altissime e terribili (soprattutto nelle pagine in cui si parla del suicidio) diventando una metafora gelida e perfetta della civiltà capitalistica.
Ilaria (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento sabato, 1 febbraio 2014
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“Sono passati molti anni e questa mattina ho un desiderio improvviso: vorrei le ceneri di mio padre”
Con questa frase, che rimanda suggestivamente a Camus, inizia il romanzo Proleterka, di Fleur Jaeggy, scrittrice (e traduttrice) appartata e schiva, italiana anche se nata nel 1940 a Zurigo.
A pronunciare queste parole è la protagonista del libro, una donna sulla cinquantina, probabilmente nubile, che con sguardo freddo e razionale, ripercorrendo la propria vicenda esistenziale, riscopre anche il proprio passato familiare.
Tanti anni prima, il padre, morto per una malattia cardiaca, era stato cremato, e la figlia aveva messo un chiodo nella tasca della sua giacca perché almeno quel chiodo non scomparisse per sempre con il suo corpo. Il chiodo le verrà restituito dalla ditta preposta alla cremazione. A partire da questo luttuoso ricordo, la protagonista (che non ha nome) rievoca il suo unico viaggio con il padre, quando lei era ancora una ragazzina. Una crociera primaverile, da Venezia alla Grecia, su una nave jugoslava chiamata appunto Proleterka; un’occasione d’oro per conoscere quel padre che, in precedenza, a seguito della separazione dei genitori, non aveva avuto la possibilità di frequentare.
Padre e figlia sono come due monadi estranee, due mondi le cui orbite parallele non sembrano destinate ad intersecarsi, e il viaggio – durante il quale la ragazza sperimenterà per la prima volta degli squallidi rapporti sessuali – in realtà sancirà l’addio definitivo al genitore, destinato comunque a morire poco tempo dopo. Lei infatti, a rafforzare quel senso di lontananza e distacco, non lo chiama mai “papà”, ma Johannes, quasi fosse un perfetto estraneo. Ma la protagonista, in realtà, guarda tutti come se fossero degli estranei, anche se stessa. È un’estraneità tragica, quasi biologica (“In un certo modo alcuni abbandonano gli affetti, i sentimenti come fossero cose. Con determinazione, senza tristezza. Diventano estranei”).
In una società in cui l’avere conta più dell’essere, Johannes, a cui era capitata la sventura di perdere tutto il suo patrimonio ma non la vita, era stato ostracizzato, declassato a persona insignificante, e impedito di frequentare la figlia. La ragazzina crescerà così presso la casa della nonna materna, che sembra una nazista: ama, con “passione autistica”, che trasmette anche alle figlie, le camelie e le rose ma non gli esseri umani (“donne che pensano esclusivamente ai loro fiori… che hanno una passione vorace, segreta…sembra soltanto qualcosa di gentile. Interessarsi alla natura. E invece hanno un profondo astio, un astio viscerale verso il mondo, l’esistenza. Verso gli uomini. Verso il genere maschile…”)
L’estraneità e il disprezzo permeano tutti i rapporti umani in questo breve ma intenso romanzo, che, soprattutto nelle prime cento pagine, con la sua prosa secca, “nevrotica”, dimessa ma vividamente espressiva, raggiunge vette altissime e terribili (soprattutto nelle pagine in cui si parla del suicidio) diventando una metafora gelida e perfetta della civiltà capitalistica.
Ilaria (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento sabato, 1 febbraio 2014
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