Perdersi
Alice è una donna che può dirsi finalmente realizzata dopo anni di fatiche e sacrifici: è una scienziata stimatissima, insegna a Harvard e tiene conferenze nelle più prestigiose università degli Stati Uniti. È sposata felicemente con John, professore di chimica all’Università, ed è madre di Anna, Tom e Lidya, tre figli ormai adulti che si stanno facendo strada nella vita con successo. Tutto sembra scorrere nel migliore dei modi nella sua vita, finché un giorno, proprio durante una delle sue prestigiose conferenze davanti a studiosi internazionali, Alice perde una parola. È una parola semplice – di cui Alice sa perfettamente il significato – si ricorda il suo intervento a memoria (una memoria che mai le ha fatto scherzi), ma quella parola proprio non viene. La sua mente non riesce a recuperarla. Qualche giorno dopo Alice si ritrova in una piazza che non riconosce, pur essendo a pochi passi da casa propria, dove ogni mattina si reca per praticare jogging. Col passare dei giorni le dimenticanze si fanno sempre più insistenti, finché Alice non decide di sottoporsi ad accertamenti medici; in breve tempo le viene diagnostico una grave forma di Alzhheimer precoce.
Inizia così il calvario della malattia: il tempo si ferma, mentre il morbo corre veloce. Alice comincia a dimenticarsi nomi, per primi, quelle delle persone che ama proprio di più: il marito e i figli. Anche se ogni sera ripete, su consiglio del medico, il proprio nome, cognome, e indirizzo dell’abitazione in cui vive, alla fine Alice confonderà anche quello, come se la malattia le avesse portato via anche la propria identità. Anche per i suoi familiari comincia un vero e proprio tormento, perché, oltre ad assisterla, devono “ri-allinearsi” a questa nuova donna la cui immagine si allontana ogni giorno di più da quella di prima: non è più la madre, la moglie determinata e forte, valido punto di riferimento per tutti loro, ma diviene una donna fragile, insicura, una sconosciuta a se stessa incapace di far fronte anche ai bisogni elementari dell’esistenza. Eppure, proprio in questa luce sbiadita e sfocata, dove i giorni sembrano ripetersi uno uguale all’altro, Alice, all’inizio della malattia, trova la forza di iscriversi a un’associazione di volontariato con persone che condividono con lei la sua stessa malattia.
Lei stessa, pur perdendo ogni giorno sempre un pezzo della sua vita passata, si scopre diversa: sono infatti quasi commoventi le ultime pagine del romanzo in cui Alice accoglie senza giudizi e remore, l’interesse della figlia minore Lidya per il teatro, una passione da lei stessa quasi sempre osteggiata che aveva portato le due donne a scontri violenti. Nelle ultime pagine del romanzo Alice percepisce che la figlia (anche se forse non la riconosce più come tale) è veramente brava e merita di costruirsi una vita, seguendo la propria strada (e non quella che avrebbe voluto la madre). I gesti di affetto che le due donne si scambiano sono molto teneri e ci fanno capire che un malato di Alzhemeir, anche se non riconosce più le persone che lo circondano, avverte comunque l’amore e le manifestazioni d’affetto che lo circonda. E questo è anche il forte messaggio che il libro vuole lasciare ai propri lettori: l’importanza dell’amore. Anche se la malattia porta via tutto con sé, la capacità di percepire l’amore rimane intatta, così come la possibilità di donarlo. Cambiano le forme di manifestazione, cambiano gli strumenti che si hanno a disposizione per dimostrare i propri sentimenti, ma l’affetto e l’amore rimane sempre tale da parte di chi lo dona e di chi lo riceve. Un libro notevole, scritto con una prosa lucida ed energica, da cui è difficile staccarsi e che, una volta letto, rimane imprigionato nella nostra mente a lungo, sia per la delicatezza dell’argomento trattato, sia per la profonda forza evocativa che trasmette al lettore.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 7 settembre 2015
Alice è una donna che può dirsi finalmente realizzata dopo anni di fatiche e sacrifici: è una scienziata stimatissima, insegna a Harvard e tiene conferenze nelle più prestigiose università degli Stati Uniti. È sposata felicemente con John, professore di chimica all’Università, ed è madre di Anna, Tom e Lidya, tre figli ormai adulti che si stanno facendo strada nella vita con successo. Tutto sembra scorrere nel migliore dei modi nella sua vita, finché un giorno, proprio durante una delle sue prestigiose conferenze davanti a studiosi internazionali, Alice perde una parola. È una parola semplice – di cui Alice sa perfettamente il significato – si ricorda il suo intervento a memoria (una memoria che mai le ha fatto scherzi), ma quella parola proprio non viene. La sua mente non riesce a recuperarla. Qualche giorno dopo Alice si ritrova in una piazza che non riconosce, pur essendo a pochi passi da casa propria, dove ogni mattina si reca per praticare jogging. Col passare dei giorni le dimenticanze si fanno sempre più insistenti, finché Alice non decide di sottoporsi ad accertamenti medici; in breve tempo le viene diagnostico una grave forma di Alzhheimer precoce.
Inizia così il calvario della malattia: il tempo si ferma, mentre il morbo corre veloce. Alice comincia a dimenticarsi nomi, per primi, quelle delle persone che ama proprio di più: il marito e i figli. Anche se ogni sera ripete, su consiglio del medico, il proprio nome, cognome, e indirizzo dell’abitazione in cui vive, alla fine Alice confonderà anche quello, come se la malattia le avesse portato via anche la propria identità. Anche per i suoi familiari comincia un vero e proprio tormento, perché, oltre ad assisterla, devono “ri-allinearsi” a questa nuova donna la cui immagine si allontana ogni giorno di più da quella di prima: non è più la madre, la moglie determinata e forte, valido punto di riferimento per tutti loro, ma diviene una donna fragile, insicura, una sconosciuta a se stessa incapace di far fronte anche ai bisogni elementari dell’esistenza. Eppure, proprio in questa luce sbiadita e sfocata, dove i giorni sembrano ripetersi uno uguale all’altro, Alice, all’inizio della malattia, trova la forza di iscriversi a un’associazione di volontariato con persone che condividono con lei la sua stessa malattia.
Lei stessa, pur perdendo ogni giorno sempre un pezzo della sua vita passata, si scopre diversa: sono infatti quasi commoventi le ultime pagine del romanzo in cui Alice accoglie senza giudizi e remore, l’interesse della figlia minore Lidya per il teatro, una passione da lei stessa quasi sempre osteggiata che aveva portato le due donne a scontri violenti. Nelle ultime pagine del romanzo Alice percepisce che la figlia (anche se forse non la riconosce più come tale) è veramente brava e merita di costruirsi una vita, seguendo la propria strada (e non quella che avrebbe voluto la madre). I gesti di affetto che le due donne si scambiano sono molto teneri e ci fanno capire che un malato di Alzhemeir, anche se non riconosce più le persone che lo circondano, avverte comunque l’amore e le manifestazioni d’affetto che lo circonda. E questo è anche il forte messaggio che il libro vuole lasciare ai propri lettori: l’importanza dell’amore. Anche se la malattia porta via tutto con sé, la capacità di percepire l’amore rimane intatta, così come la possibilità di donarlo. Cambiano le forme di manifestazione, cambiano gli strumenti che si hanno a disposizione per dimostrare i propri sentimenti, ma l’affetto e l’amore rimane sempre tale da parte di chi lo dona e di chi lo riceve. Un libro notevole, scritto con una prosa lucida ed energica, da cui è difficile staccarsi e che, una volta letto, rimane imprigionato nella nostra mente a lungo, sia per la delicatezza dell’argomento trattato, sia per la profonda forza evocativa che trasmette al lettore.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 7 settembre 2015