Nucleo zero
Viene da chiedersi, leggendo Nucleo Zero di Luce d’Eramo, se l’autrice, scrivendo, tenesse a mente "I masnadieri" di Schiller. Sì, perché questo romanzo, precocissimo rispetto al tempo storico con il quale fa i conti, ha del dramma schilleriano lo studio e l’ardimento non di rado ironico del linguaggio, così come l’alternanza, sotto una regia lucida, di introspezione e azione.
Le vicende di "Nucleo Zero" si svolgono a Roma nel 1980. Al centro di esse, un gruppo di terroristi che intende, già con il nome, partire per una nuova linea di operazioni contro il sistema. Come? L’incipit del romanzo lo svela fin dalle prime, serrate, battute: con una serie di rapine concertate allo scopo di guadagnare visibilità, profilo, credibilità, anche agli occhi di altre organizzazioni che operano a livello nazionale. Luce d’Eramo sceglie dunque la ‘presa diretta’ per la sua disamina, quanto mai acuta, di quegli anni, attraverso una vicenda che costruisce e ri-costruisce come esemplare.Il primo ampio movimento di questa sinfonia in quattro parti (ciascuna, a sua volta, composta di quattro capitoli, per un totale di 16 capitoli, più uno conclusivo, non a caso scritto in un tempo verbale diverso dai precedenti), che dalla cronaca entra nella carne viva del fenomeno storico, è rappresentato dalla narrazione della "bifase" – così i membri del gruppo Nucleo Zero hanno chiamato il sistema della doppia rapina – che si svolge intorno a piazza Bologna. Con cura e precisione vengono ricostruiti i percorsi di arrivo e partenza, gli spostamenti, i trasbordi, i travestimenti e i rapidissimi cambi di tutti i partecipanti. La narrazione è intervallata dalle riflessioni di Giovanni Dettore, che ripercorre nei pensieri meticolosamente tutte le fasi della prima rapina, progettazione ed esecuzione, e che, nello scartabellare in dettaglio i ricordi, fornisce a chi legge informazioni sugli altri componenti del Nucleo Zero.
Con lo scorrere degli altri movimenti che compongono l’insieme veniamo a conoscere, con un andamento sempre misurato, ma mai estraneo al procedere degli eventi, provenienza e passato di molti di loro. L’estrazione è diversa, diverse le motivazioni che li hanno condotti ad agire insieme, concordando, tra l’altro, un sistema di comunicazione fatto di squilli telefonici in numeri e sequenze che corrispondono a nomi e fatti da riferire. Alcuni di loro hanno studiato – Giovanni Dettore è stato professore di filosofia, Lorenza Vallo, già giornalista, si mantiene facendo traduzioni, Paolo Pasini è medico, Stefano Brandi, ex allievo di Giovanni, è docente incaricato alla facoltà di matematica – altri, come i giovani coniugi Marisa e Antonio Martano, sono immigrati dal Sud d’Italia, “donna a ore” (come si diceva una volta per “collaboratrice domestica”) l’una, operaio l’altro. Tra l’ex insegnante e l’ex allievo la tensione aumenta allorché quest’ultimo preme per ottenere dal gruppo l’assenso alla collaborazione con le “Colonne rosse”, nelle quali Giovanni Dettore ha militato e dalle quali è uscito.
Sono le loro voci, nei dialoghi e nei soliloqui, nel vorticare di pensieri e nei confronti-scontri, che Luce d’Eramo ci fa ascoltare, con sapienza drammatica e un alto grado di verosimiglianza, lo stesso grado di verosimiglianza che si manifesta nella scelta di stile e termini dei loro comunicati. Altre voci ascoltiamo, e sono quelle, in particolare, di Gennaro Di Biase, l’avvocato antico antagonista di Lorenza Vallo in un processo di dieci anni prima, e del sequestrato, l’imprenditore Giacomo Perrino. Per ciascuna di esse Luce d’Eramo, che pure, nei brani riservati al narratore, non fa mistero della sua predilezione per varianti meno comuni di verbi – “parcare” per “parcheggiare” e “bezzicare” per “beccare” – , sa trovare toni e termini che calzano perfettamente ai personaggi. Allo stesso tempo, come aveva già dimostrato in "Cruciverba politico. (libro del 1974 sul caso Feltrinelli/ Cederna), Luce d’Eramo non nasconde, inserendone esempi, il controcanto diversivo dei mezzi di comunicazione di massa.
Un romanzo che dal principio all’epilogo conserva intatto, accanto al suo valore storico di prima opera della narrativa italiana sugli “anni di piombo”, il suo significato letterario: un esempio convincente di narrazione e di analisi della realtà contemporanea. Il romanzo è stato tradotto in tedesco e in spagnolo; Carlo Lizzani ne ha tratto un film nel 1984. Stupisce, amaramente, che in Italia non sia stato più ristampato.
Anna Maria Curci (traduttrice e scrittrice, in collaborazione con Poetarum Silva)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 2 febbraio 2015
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Viene da chiedersi, leggendo Nucleo Zero di Luce d’Eramo, se l’autrice, scrivendo, tenesse a mente "I masnadieri" di Schiller. Sì, perché questo romanzo, precocissimo rispetto al tempo storico con il quale fa i conti, ha del dramma schilleriano lo studio e l’ardimento non di rado ironico del linguaggio, così come l’alternanza, sotto una regia lucida, di introspezione e azione.
Le vicende di "Nucleo Zero" si svolgono a Roma nel 1980. Al centro di esse, un gruppo di terroristi che intende, già con il nome, partire per una nuova linea di operazioni contro il sistema. Come? L’incipit del romanzo lo svela fin dalle prime, serrate, battute: con una serie di rapine concertate allo scopo di guadagnare visibilità, profilo, credibilità, anche agli occhi di altre organizzazioni che operano a livello nazionale. Luce d’Eramo sceglie dunque la ‘presa diretta’ per la sua disamina, quanto mai acuta, di quegli anni, attraverso una vicenda che costruisce e ri-costruisce come esemplare.Il primo ampio movimento di questa sinfonia in quattro parti (ciascuna, a sua volta, composta di quattro capitoli, per un totale di 16 capitoli, più uno conclusivo, non a caso scritto in un tempo verbale diverso dai precedenti), che dalla cronaca entra nella carne viva del fenomeno storico, è rappresentato dalla narrazione della "bifase" – così i membri del gruppo Nucleo Zero hanno chiamato il sistema della doppia rapina – che si svolge intorno a piazza Bologna. Con cura e precisione vengono ricostruiti i percorsi di arrivo e partenza, gli spostamenti, i trasbordi, i travestimenti e i rapidissimi cambi di tutti i partecipanti. La narrazione è intervallata dalle riflessioni di Giovanni Dettore, che ripercorre nei pensieri meticolosamente tutte le fasi della prima rapina, progettazione ed esecuzione, e che, nello scartabellare in dettaglio i ricordi, fornisce a chi legge informazioni sugli altri componenti del Nucleo Zero.
Con lo scorrere degli altri movimenti che compongono l’insieme veniamo a conoscere, con un andamento sempre misurato, ma mai estraneo al procedere degli eventi, provenienza e passato di molti di loro. L’estrazione è diversa, diverse le motivazioni che li hanno condotti ad agire insieme, concordando, tra l’altro, un sistema di comunicazione fatto di squilli telefonici in numeri e sequenze che corrispondono a nomi e fatti da riferire. Alcuni di loro hanno studiato – Giovanni Dettore è stato professore di filosofia, Lorenza Vallo, già giornalista, si mantiene facendo traduzioni, Paolo Pasini è medico, Stefano Brandi, ex allievo di Giovanni, è docente incaricato alla facoltà di matematica – altri, come i giovani coniugi Marisa e Antonio Martano, sono immigrati dal Sud d’Italia, “donna a ore” (come si diceva una volta per “collaboratrice domestica”) l’una, operaio l’altro. Tra l’ex insegnante e l’ex allievo la tensione aumenta allorché quest’ultimo preme per ottenere dal gruppo l’assenso alla collaborazione con le “Colonne rosse”, nelle quali Giovanni Dettore ha militato e dalle quali è uscito.
Sono le loro voci, nei dialoghi e nei soliloqui, nel vorticare di pensieri e nei confronti-scontri, che Luce d’Eramo ci fa ascoltare, con sapienza drammatica e un alto grado di verosimiglianza, lo stesso grado di verosimiglianza che si manifesta nella scelta di stile e termini dei loro comunicati. Altre voci ascoltiamo, e sono quelle, in particolare, di Gennaro Di Biase, l’avvocato antico antagonista di Lorenza Vallo in un processo di dieci anni prima, e del sequestrato, l’imprenditore Giacomo Perrino. Per ciascuna di esse Luce d’Eramo, che pure, nei brani riservati al narratore, non fa mistero della sua predilezione per varianti meno comuni di verbi – “parcare” per “parcheggiare” e “bezzicare” per “beccare” – , sa trovare toni e termini che calzano perfettamente ai personaggi. Allo stesso tempo, come aveva già dimostrato in "Cruciverba politico. (libro del 1974 sul caso Feltrinelli/ Cederna), Luce d’Eramo non nasconde, inserendone esempi, il controcanto diversivo dei mezzi di comunicazione di massa.
Un romanzo che dal principio all’epilogo conserva intatto, accanto al suo valore storico di prima opera della narrativa italiana sugli “anni di piombo”, il suo significato letterario: un esempio convincente di narrazione e di analisi della realtà contemporanea. Il romanzo è stato tradotto in tedesco e in spagnolo; Carlo Lizzani ne ha tratto un film nel 1984. Stupisce, amaramente, che in Italia non sia stato più ristampato.
Anna Maria Curci (traduttrice e scrittrice, in collaborazione con Poetarum Silva)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 2 febbraio 2015
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