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Non è mai troppo tardi

Per chi è nato tra la fine degli anni Cinquanta e gli anni Sessanta “Non è mai troppo tardi” è una espressione che suscita immediatamente sentimenti di speranza e apertura al futuro, merito della insuperata trasmissione televisiva condotta dal Maestro Alberto Manzi, durante la quale milioni di italiani impararono a scrivere e a leggere. L’autrice, poco più che trentenne, ha probabilmente operato un richiamo involontario ad un capitolo della storia italiana in cui si aveva la sensazione quasi fisica di vivere un momento speciale, quello che non a caso più tardi si sarebbe chiamato “miracolo italiano”.

Ma chissà che invece il richiamo non sia stato voluto: perché la storia narrata dalla giovane Stefania Russo è piena proprio di quella speranza e apertura al futuro di cui oggi abbiamo tanto bisogno, quando spazio per i miracoli sembra non ce ne sia più, e la relazione tra le persone è messa a dura prova da pesanti conflitti sociali causati dall’impoverimento economico e dalla perdita della fiducia nel futuro.

Sarà forse eccessivo considerare questo libro, allegro e scanzonato, un vero e proprio esempio di “romanzo sociale” contemporaneo, anche se ne possiede praticamente tutti gli elementi tipici: siamo in un quartiere periferico di Milano dove l’edilizia economica e popolare ha sfoderato tutte le armi migliori per tagliare fuori i suoi abitanti dalla connessione alla città e dai servizi di prossimità, ghettizzandoli in un luogo di vita difficile da condividere.

In questo posto brutto e senza futuro vivono tante famiglie economicamente fragili: anziani soli, famiglie numerose emigrate dal Sud Italia, donne con figli a carico che passano da un lavoro all’altro senza mai riuscire a pagare tutte le bollette. Protagonista della storia è Annarita, una signora di 84 anni, vedova da tanti anni, e oggi alle prese con gli acciacchi dell’età: ha fatto presto a perdere la propria autonomia e a ritrovarsi su una sedia a rotelle, prigioniera in un appartamentino piccolissimo, ma ingombro dai pacchi di pannoloni che le passa la mutua. Le cose però non vanno così male: con la sua piccolissima pensione riesce a mangiare tutti i giorni (anche se deve farsi bastare per due settimane un pacco famiglia di pan carré, e la carne è un sogno quasi dimenticato), e soprattutto può contare sull’aiuto della figlia Katia, donna scapestrata dai mille lavori precari, della nipote Stella (una ragazzina saggia e affettuosa, molto più affidabile della madre), di Ornella e Giorgio, i vicini di pianerottolo che la coccolano con fette di torta e bricchi di caffè, simbolo della loro vicinanza; e poi c’è Olga, una donnona rumena che le fa da badante volontaria, e riesce a trovare sempre un po’ di tempo per cambiarle i pannoloni e farle il bagno, anche se si divide tra più lavori.

Nel cuore di Olga c’è una ferita aperta: sua sorella Ada, rimasta in Romania, soffre di una malattia rara, che non può essere curata in loco. L’unica clinica che potrebbe sottoporla a una terapia sperimentale è proprio a Milano, ma chiede una cifra del tutto inarrivabile per lei, nonostante si privi di tutto per racimolare il necessario. Non appena Annarita viene a sapere questa storia, si attiva con la forza di una ventenne, chiamando in causa tutti gli abitanti del Mostro, la nipote, i suoi giovani amici, il prete della parrocchia: l’idea è quella che ciascuno rispolveri le proprie competenze per metterle a disposizione di chi vuole imparare qualcosa di nuovo, e per questo sia disposto a pagare qualcosa. Annarita è stata in gioventù un’esperta di fiori: le sue lezioni su come far rinascere le fioriere condominiali le portano un bel gruzzolo, così come le lezioni di riciclo creativo di Ornella, i dolci venduti da altri personaggi del condominio. Dà una mano anche il parroco, destinando alla causa di Ada le offerte settimanali. Il condominio ferve di iniziative e attività, ma per arrivare alla somma necessaria c’è ancora molto da fare: per fortuna arriva, del tutto inaspettata, una donazione misteriosa, che si scoprirà non provenire da attività specchiatissime, ma che permetterà di raggiungere l’obiettivo. A volte non merita andare troppo per il sottile.

Un romanzo a lieto fine, che fa ridere e che commuove, raccontando i battibecchi, gli scontri, i conflitti ma anche i sentimenti di solidarietà e vicinanza che gli abitanti del Mostro riescono a manifestare, senza mai abbandonarsi alle derive della vita: mai vittime del destino che l’esistenza ha loro riservato, ma sempre titolari di una scelta di buon vicinato in grado di trasformare anche il Mostro in un luogo quasi bello da vivere.

Maria Stella (Biblioteca San Giorgio)

 

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