Biblioteca San Giorgio, Pistoia


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Noi credevamo

Lettura quasi doverosa, in questo 150° dell'Unità, per chi desidera respirarne l'aria senza l'odor di muffa della retorica, senza schieramenti di truppe e luccichio di armi, ma attraverso una singola vicenda umana, tutta giocata sul contrasto fra gli ideali giovanili e la delusione della maturità, fra l'eroismo senza orpelli delle azioni rievocate nel ricordo e la mediocrità della vita successiva. È un gentiluomo calabrese l'unico protagonista del romanzo, colto nel momento più intimo, quello dell'approssimarsi della morte, in cui sente il bisogno di frugare nel proprio passato per "rovesciarsi come un guanto": riemergono quindi l'incrollabile credo repubblicano, l'attività politica clandestina, la terribile esperienza delle carceri borboniche, la partecipazione all'impresa dei Mille ed infine il meschino impiego presso le dogane del Regno unitario. La rabbia e la disillusione dominano in tutte le pagine, per il credo antimonarchico tradito, per l'indifferenza del popolo verso le gesta dei pochi che fecero il Risorgimento, per i tradimenti subiti dai compagni di lotta, per la scarsa riconoscenza del nuovo Stato verso coloro che hanno sofferto per costruirlo. La rabbia si stempera solo nelle ultime pagine in cui, vedendo la morte ormai vicinissima, rievoca episodi dell'infanzia e dell'adolescenza e, tornando infine col pensiero ai momenti della lotta, si libera dell'amarezza e della disillusione con un "noi": "Eravamo tanti, eravamo insieme... Noi, dolce parola. Noi credevamo..."

Angela (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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