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Nero ananas

Con fedeltà ai propri mezzi stilistici e all'ispirazione di una produzione ormai ventennale, Valerio Aiolli si addentra nel racconto di quattro anni neri della storia italiana, quelli che separano la strage di Piazza Fontana (12 dicembre 1969) dalla strage della Questura di Milano (17 maggio 1973). Sono gli anni della fine dell'innocenza di un paese reduce dal boom postbellico ma che non ha mai fatto i conti con i residui di una lunga storia di divisioni ideologiche, così come sono gli anni della fine dell'innocenza di uno dei protagonisti e narratori della vicenda: il bambino che parla in prima persona e che ha la stessa età dello scrittore: otto anni al momento dell'attentato terroristico alla Banca Nazionale dell'Agricoltura.

Come già in altre precedenti narrazioni, Aiolli conduce il racconto secondo un'ottica disideologizzata, e stavolta l'operazione è ancora più meritoria proprio perché va a tentare di illuminare con una luce, per così dire, umanistica un periodo e dinamiche della nostra Storia estremamente connotate ideologicamente anche nel posteriore racconto che ne è stato fatto e che tuttora ne viene fatto. Lo fa moltiplicando le focalizzazioni e gli approcci stilistici: facendo raccontare in prima persona il bambino di una famiglia che è insieme testimone, protagonista e vittima degli eventi (in particolare per la vicenda della giovane sorella del narratore che fugge di casa per darsi a una oscura clandestinità); raccontando in terza persona con una focalizzazione tutta interna la storia interiore ed esteriore dell'allora Primo Ministro democristiano Mariano Rumor (e vivificando in modo sorprendente attraverso questa narrazione il dibattito interno al mondo politico cattolico di quegli anni); dando voce, volti ed emozioni ai molti più o meno oscuri protagonisti della stagione della cosiddetta "strategia della tensione", a partire dal terrorista anarchico Gianfranco Bertoli, autore della strage della Questura, a cui Aiolli riserva una coinvolgente narrazione in seconda persona che sovverte dall'interno la versione sostenuta dallo stesso Bertoli fino alla sua morte. Nel passaggio da un personaggio all'altro oltre alle ottiche si amplia anche lo spettro della lingua, solitamente piana ma capace di infiammarsi nelle improvvise accensioni emotive dei personaggi, nei loro flussi di coscienza.

In "Nero ananas" lo scrittore fiorentino fa convergere così molti elementi ed espedienti già messi in mostra nei romanzi precedenti, dal narratore bambino di Io e mio fratello all'intersecazione tra microstorie familiari e macrostoria collettiva che è un po' il tratto più identificativo di gran parte della sua scrittura, in particolare di Il sonnambulo e Luce profuga, facendo compiere un ulteriore salto di qualità alla sua vena di grande rianimatore di vicende all'apparenza già usurate, stracciando pregiudizi e letture obliterate con le armi di una discrezione allo stesso tempo umile e ambiziosa (un po' come la personalità di Rumor in questo romanzo), indossando con sensibilità gli abiti dei protagonisti, mettendo il proprio talento al servizio del racconto e non gli eventi al servizio di un messaggio prestabilito.

È una letteratura, quella di Aiolli, che fa confliggere le verità date frettolosamente per acquisite con il potere del dubbio, le parole d'ordine di interpretazioni utilitaristiche e i sottili spessori del racconto storico di stampo sociologico-televisivo con uno sguardo più attento e profondo al valore e agli istinti individuali, al legno storto dell'umanità la cui natura, fuori dalla esattezza di ogni teoria, determina le epoche, la Storia con la S maiuscola, le identità collettive.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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