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Nel caffè della gioventù perduta

Al centro di questo breve romanzo dello scrittore francese Patrick Modiano, recente premio Nobel per la letteratura,  è la misteriosa Jacqueline Delanque, soprannominata Louki dagli amici del Condé, un café del quartiere Odeon di Parigi che la protagonista frequenta costantemente alla ricerca di una via d’uscita da una quotidianità a cui non riesce in nessun modo a dare un significato. Jacqueline è una donna senza punti di riferimento, alla ricerca di un senso e in fuga da se stessa sin dall’adolescenza, quando durante la notte, mentre la madre con cui abitava lavorava al Moulin Rouge, abbandonava di nascosto l’appartamento per spingersi nel dedalo di vie tra Montmartre e Pigalle, quasi come una delle tante ballerine che a inizio secolo condividevano la vita della Butte con i più noti artisti di stanza a Parigi.

Ma non c’è segno di arte o missione, motivazioni e dedizioni nell’esistenza di Louki. Lei e i suoi amici si muovono in una Parigi dal profilo paludoso, neutra e quasi insignificante pur nella sua precisione geografica, orfana di un senso esattamente come la protagonista porta con se un’orfanezza allo stesso tempo anagrafica (è figlia di padre sconosciuto) e spirituale. Come in balia di una corrente anonima prende a frequentare locali e uomini ambigui, a far uso di cocaina insieme all’unica amica, Jeannette, di cui in fondo sa però poco o niente (al punto da mentirsi reciprocamente sulle proprie generalità e il proprio lavoro). Prende a lavorare senza convinzione. Si sposa senza convinzione, forse solo per noia, e per noia abbandona il marito senza spiegazioni da un giorno all’altro. Per comunione nella noia si accompagna a un nuovo amante.

Più che la giovane protagonista, la cui storia è raccontata da quattro voci e quattro punti di vista diversi, il protagonista del libro sembra essere però il tempo, un tempo vuoto che come un mare sfavorevole logora lentamente le persone in una lunghissima attesa del vento e della corrente giusta, gli cambia i connotati, li trascina e li confonde, li sposta da una “zona neutra” all’altra di Parigi e nelle cui pieghe, quasi più che nelle pieghe dello spazio, quasi tutti i protagonisti di questo libro finiscono per nascondersi, scomparire e ricomparire di tanto in tanto in un breve baluginare.

Scompare nel nulla il primo narratore, uno studente frequentatore del Condé. Scompare nel nulla per pagine e pagine per poi ricomparire solo nell’epilogo del libro Pierre Caisley, l’investigatore assoldato dal marito abbandonato per avere notizie di Jacqueline. Scompare il marito stesso. Scompaiono e ricompaiono in lontananza, nel passato e nel presente, gli avventori dei Condé (alcuni sono personaggi realmente esistiti), i volti, i luoghi visti, amati, sofferti e improvvisamente abbandonati e mai più visitati. Scompaiono soprattutto le loro storie. Scompaiono o, meglio, si perdono. Tutto si perde in questo trionfo della malinconia, così come è perduta la giovinezza del titolo. Si perde anche, e soprattutto, il fantasma di un qualcosa che i protagonisti di questa storia hanno sempre cercato, senza sapere precisamente cosa fosse, e non hanno mai avuto. Così come è perduto il paradiso ideale dello Shangri-Là nel romanzo che Louki portava costantemente con sé al café Condé. “Orizzonte perduto”. Appunto.

 

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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