Limonov
Il libro di Emmanuel Carrère sulla vita di Eduard Limonov probabilmente si divide con Stoner di John Williams la palma del maggior gradimento generale tra i libri usciti in Italia nel 2012, mettendo d'accordo critica e lettori comuni, eppure è difficile pensare a due libri così tanto diversi l'uno dall'altro. Da una parte la placida e quotidiana ordinarietà predisposta nella concentratissima "fiction" dello scrittore americano, dall'altra una esistenza avventurosa quanto reale raccontata dal francese attraverso lo strumento di una narrazione quasi giornalistica strabordante di episodi ed energia; da una parte un protagonista, Stoner, che può essere considerato l'antieroe inetto per eccellenza, dall'altra un uomo, Limonov, che ha fatto dell'eccezionalità a tutti i costi il suo stile di vita e della vita una battaglia per la propria affermazione, senza chiedersi troppo se la battaglia sia combattuta dalla parte giusta o da quella sbagliata.
È dello stesso Carrère, nelle prima pagine del libro, la descrizione più sintetica ed efficace di chi sia Limonov: «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio».
Le diverse vite di Limonov sono accomunate da una stessa dimensione amorale che, se da una parte fa apparire il protagonista ripugnante, dall'altra lo rende potentemente emblematico di un periodo della Storia, non soltanto russa, in cui a fare la differenza tra anonimato e successo sono l'ambizione, il coraggio e una cinica determinazione, doti che non gli fanno difetto. Limonov sembra, in un certo senso, un Dorian Gray che non ha più bisogno di un alter-ego da far invecchiare e abbrutire al proprio posto, ma che si fa carico con determinazione, e – va detto – con dignità, del proprio destino, così come sceglie di plasmarlo senza mai subirlo e viverlo senza mai nasconderlo. Le proprie ferite, le cancrene, le decomposizioni, fisiche e morali, sono anzi esposte con orgoglio alla luce del sole, stigmate di un eroismo che non si ritiene tale se non è testimoniato fino in fondo, in ogni istante. L'amaro calice del vivere senza infingimenti è bevuto fino all'ultima goccia.
Proprio per la sospensione assoluta del giudizio, la vicenda procede di pagina in pagina come un romanzo di avventura allo stesso tempo appassionante e disturbante. Carrére concorre a creare una continua tensione attuando una tecnica di racconto che mette fianco a fianco i dati oggettivi raccolti nel corso di una vera e propria ricerca sul campo, da reportage (colloqui con Limonov, interviste, brani tratti dai suoi libri...), e il proprio rispecchiamento personale nella vicenda narrata, mantenendosi sempre anche in questo rispecchiamento a distanza di sicurezza da ogni giudizio e, in tal modo, elevando al quadrato l'amoralità del racconto. Siamo, da lettori, così costantemente provocati a una reazione che la scrittura non asseconda mai, lasciandoci alla fine spogliati delle nostre certezze e ignoranti davanti a domande che appaiono abissali, e in fondo in fondo sono le stesse di Stoner, sul senso di ogni singola esistenza, su cosa valga la pena di vivere, e come, e perché.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 2 dicembre 2013
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Il libro di Emmanuel Carrère sulla vita di Eduard Limonov probabilmente si divide con Stoner di John Williams la palma del maggior gradimento generale tra i libri usciti in Italia nel 2012, mettendo d'accordo critica e lettori comuni, eppure è difficile pensare a due libri così tanto diversi l'uno dall'altro. Da una parte la placida e quotidiana ordinarietà predisposta nella concentratissima "fiction" dello scrittore americano, dall'altra una esistenza avventurosa quanto reale raccontata dal francese attraverso lo strumento di una narrazione quasi giornalistica strabordante di episodi ed energia; da una parte un protagonista, Stoner, che può essere considerato l'antieroe inetto per eccellenza, dall'altra un uomo, Limonov, che ha fatto dell'eccezionalità a tutti i costi il suo stile di vita e della vita una battaglia per la propria affermazione, senza chiedersi troppo se la battaglia sia combattuta dalla parte giusta o da quella sbagliata.
È dello stesso Carrère, nelle prima pagine del libro, la descrizione più sintetica ed efficace di chi sia Limonov: «è stato teppista in Ucraina, idolo dell'underground sovietico, barbone e poi domestico di un miliardario a Manhattan, scrittore alla moda a Parigi, soldato sperduto nei Balcani; e adesso, nell'immenso bordello del dopo comunismo, vecchio capo carismatico di un partito di giovani desperados. Lui si vede come un eroe, ma lo si può considerare anche una carogna: io sospendo il giudizio».
Le diverse vite di Limonov sono accomunate da una stessa dimensione amorale che, se da una parte fa apparire il protagonista ripugnante, dall'altra lo rende potentemente emblematico di un periodo della Storia, non soltanto russa, in cui a fare la differenza tra anonimato e successo sono l'ambizione, il coraggio e una cinica determinazione, doti che non gli fanno difetto. Limonov sembra, in un certo senso, un Dorian Gray che non ha più bisogno di un alter-ego da far invecchiare e abbrutire al proprio posto, ma che si fa carico con determinazione, e – va detto – con dignità, del proprio destino, così come sceglie di plasmarlo senza mai subirlo e viverlo senza mai nasconderlo. Le proprie ferite, le cancrene, le decomposizioni, fisiche e morali, sono anzi esposte con orgoglio alla luce del sole, stigmate di un eroismo che non si ritiene tale se non è testimoniato fino in fondo, in ogni istante. L'amaro calice del vivere senza infingimenti è bevuto fino all'ultima goccia.
Proprio per la sospensione assoluta del giudizio, la vicenda procede di pagina in pagina come un romanzo di avventura allo stesso tempo appassionante e disturbante. Carrére concorre a creare una continua tensione attuando una tecnica di racconto che mette fianco a fianco i dati oggettivi raccolti nel corso di una vera e propria ricerca sul campo, da reportage (colloqui con Limonov, interviste, brani tratti dai suoi libri...), e il proprio rispecchiamento personale nella vicenda narrata, mantenendosi sempre anche in questo rispecchiamento a distanza di sicurezza da ogni giudizio e, in tal modo, elevando al quadrato l'amoralità del racconto. Siamo, da lettori, così costantemente provocati a una reazione che la scrittura non asseconda mai, lasciandoci alla fine spogliati delle nostre certezze e ignoranti davanti a domande che appaiono abissali, e in fondo in fondo sono le stesse di Stoner, sul senso di ogni singola esistenza, su cosa valga la pena di vivere, e come, e perché.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 2 dicembre 2013
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