Le recensioni dei ragazzi -Gli sdraiati, di Michele Serra
Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo...
Fin dall'inizio mi ha colpito il titolo di qiesto libro: Gli sdraiati. Il termine si riferisce a noi ragazzi, sempre a trascinarsi dal letto al divano impegnati nel messaggiare o nello scorrere post su qualche social, non rendendoci conto di tutto ciò che ci circonda.
“Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo […]. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all'iPod occultato in qualche anfratto: è possibile, dunque, che tu stessi anche ascoltando musica”: questo è ciò che si ostina a fare, per la maggior parte del suo tempo, il figlio dell'autore.
Il padre di fronte a tutto ciò è incapace di reagire, di comportarsi da genitore. Rimane fermo in piedi a guardarlo e l'unica risposta che si dà è: “É l'evoluzione della specie”.
Quando ho letto questa frase mi è venuto da ridere: una volta risposi anche io così a mia madre. Mi disse: “Sempre con quel telefono in mano!” Io le risposi in quel modo perché è quello che pensavo e quello che penso tutt'oggi: è normale, prima per comunicare si usava le lettere, oggi invece si usano i telefoni. É l'evoluzione della specie: sarebbe ridicolo mettersi a scrivere una lettera per darsi appuntamento in qualche posto. È stata scoperta la tecnologia, è giusto utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione (certo non abusandone).
Un'altra parte che mi ha colpito è quando il padre lascia il figlio e l'amico a letto fino a tardi al mattino, quando invece sarebbero dovuti andare a vendemmiare. Mentre lui è nel campo a sudare si sente in imbarazzo, e si pente per non averli svegliati: il suo problema più grande è infatti il fatto che non sente mai di fare la cosa giusta, motivo per il quale parla raramente con il figlio. Ma la frase che mi ha fatto riflettere è il commento di uno degli altri uomini a lavorare: “Certo che un mondo dove i vecchi lavorano e i giovani dormono, prima non si era mai visto”. É la pura verità, ormai negli ultimi anni sono sempre i genitori ad “ammazzarsi” di lavoro per cercare di dare un futuro lavorativo ai propri figli (prima di tutto garantendo gli studi). Prima invece già a 14/15/16 anni, se non prima, i ragazzi andavano a cercarsi un lavoro, costretti a lasciare gli studi per impossibilità economiche.
Questo libro mi ha fatto accorgere ancora di più che non siamo mai abbastanza riconoscenti ai nostri genitori per averci messo al mondo, per averci fatto diventare quello che siamo, cercando di non farci mancare mai niente, cercando di curarsi di noi al meglio possibile, insegnandoci le buone maniere. La scena finale è molto commovente: il padre riesce a portare il figlio in montagna, al colle della Nasca e a passare un po' di tempo con lui. Non si scambiano quasi alcuna parola, ma finalmente ha la soddisfazione di essere chiamato Papà.
Secondo me per migliorare il rapporto con i genitori e cercare di non litigare su qualsiasi cosa (spesso senza alcuna motivazione) bisognerebbe, come dice M. Serra, cercare di essere io un po' meno io e tu un po' meno tu: lo scopo non dovrebbe essere arrivare ad avere ragione (da entrambe le parti), ma sarebbe invece quello di non attaccarsi continuamente l'uno con l'altro, cercare di dialogare senza ogni volta alzare la voce, come se ciò ti facesse sentire più importante, più rispettabile. Smettiamo di fare a gara a chi urla più forte.
(aa. 2015-2016, Lucrezia Sepiacci, Classe III D Liceo scientifico, Pistoia)
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Ultimo aggiornamento mercoledì, 27 giugno 2018
Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo...
Fin dall'inizio mi ha colpito il titolo di qiesto libro: Gli sdraiati. Il termine si riferisce a noi ragazzi, sempre a trascinarsi dal letto al divano impegnati nel messaggiare o nello scorrere post su qualche social, non rendendoci conto di tutto ciò che ci circonda.
“Con la mano destra digitavi qualcosa sullo smartphone. La sinistra, semi-inerte, reggeva con due dita, per un lembo, un lacero testo di chimica, a evitare che sprofondasse per sempre nella tenebrosa intercapedine tra lo schienale e i cuscini, laddove una volta ritrovai anche un wurstel crudo, uno dei tuoi alimenti prediletti. La televisione era accesa, a volume altissimo […]. Alle orecchie tenevi le cuffiette, collegate all'iPod occultato in qualche anfratto: è possibile, dunque, che tu stessi anche ascoltando musica”: questo è ciò che si ostina a fare, per la maggior parte del suo tempo, il figlio dell'autore.
Il padre di fronte a tutto ciò è incapace di reagire, di comportarsi da genitore. Rimane fermo in piedi a guardarlo e l'unica risposta che si dà è: “É l'evoluzione della specie”.
Quando ho letto questa frase mi è venuto da ridere: una volta risposi anche io così a mia madre. Mi disse: “Sempre con quel telefono in mano!” Io le risposi in quel modo perché è quello che pensavo e quello che penso tutt'oggi: è normale, prima per comunicare si usava le lettere, oggi invece si usano i telefoni. É l'evoluzione della specie: sarebbe ridicolo mettersi a scrivere una lettera per darsi appuntamento in qualche posto. È stata scoperta la tecnologia, è giusto utilizzare tutti i mezzi a nostra disposizione (certo non abusandone).
Un'altra parte che mi ha colpito è quando il padre lascia il figlio e l'amico a letto fino a tardi al mattino, quando invece sarebbero dovuti andare a vendemmiare. Mentre lui è nel campo a sudare si sente in imbarazzo, e si pente per non averli svegliati: il suo problema più grande è infatti il fatto che non sente mai di fare la cosa giusta, motivo per il quale parla raramente con il figlio. Ma la frase che mi ha fatto riflettere è il commento di uno degli altri uomini a lavorare: “Certo che un mondo dove i vecchi lavorano e i giovani dormono, prima non si era mai visto”. É la pura verità, ormai negli ultimi anni sono sempre i genitori ad “ammazzarsi” di lavoro per cercare di dare un futuro lavorativo ai propri figli (prima di tutto garantendo gli studi). Prima invece già a 14/15/16 anni, se non prima, i ragazzi andavano a cercarsi un lavoro, costretti a lasciare gli studi per impossibilità economiche.
Questo libro mi ha fatto accorgere ancora di più che non siamo mai abbastanza riconoscenti ai nostri genitori per averci messo al mondo, per averci fatto diventare quello che siamo, cercando di non farci mancare mai niente, cercando di curarsi di noi al meglio possibile, insegnandoci le buone maniere. La scena finale è molto commovente: il padre riesce a portare il figlio in montagna, al colle della Nasca e a passare un po' di tempo con lui. Non si scambiano quasi alcuna parola, ma finalmente ha la soddisfazione di essere chiamato Papà.
Secondo me per migliorare il rapporto con i genitori e cercare di non litigare su qualsiasi cosa (spesso senza alcuna motivazione) bisognerebbe, come dice M. Serra, cercare di essere io un po' meno io e tu un po' meno tu: lo scopo non dovrebbe essere arrivare ad avere ragione (da entrambe le parti), ma sarebbe invece quello di non attaccarsi continuamente l'uno con l'altro, cercare di dialogare senza ogni volta alzare la voce, come se ciò ti facesse sentire più importante, più rispettabile. Smettiamo di fare a gara a chi urla più forte.
(aa. 2015-2016, Lucrezia Sepiacci, Classe III D Liceo scientifico, Pistoia)
- Ultimo aggiornamento mercoledì, 27 giugno 2018