Le lune di Hvar
Le lune di Hvar, oggi incluso nel secondo volume delle Opere, rappresenta lo splendido autunno narrativo di Lalla Romano, scrittrice modernissima e inquieta, non tanto delle piccole cose, come troppo spesso è stato riduttivamente osservato, ma delle piccole cose in quanto non sono tali, e anzi coincidono esattamente con le cose grandi, che scandiscono, in profondità, la nostra esistenza. Il libro che, come ha scritto l’autrice stessa nel risvolto di copertina della prima edizione, si è quasi fatto da solo, è una raccolta di annotazioni, “impressioni” e frammenti scritti durante un viaggio in Croazia con un giovane compagno, in cui il fermo, “gobettiano” rigore conoscitivo della Romano viene travasato in un limpido, cromatico lirismo, dentro un’esperienza di “solitudine, contemplazione, libertà estrema”.
La scrittura forte, eticamente impudica di Lalla Romano, che non sa e non vuole raccontare la vita se non nei modi in cui lei stessa l’ha attraversata, sempre yourcenarianamente “ad occhi aperti”, dopo aver affrontato il tema del dolore e della morte nel bellissimo e struggente Nei mari estremi (1987), libro in cui la malattia del marito diventa occasione per una profonda riflessione sulla qualità estrema della sofferenza e sulla sua ingiustizia, ha una svolta vitale, forte, “scandalosa” e per questo, forse, ancor più imperdonabile: l’amore anziano. A ottantaquattro anni, Lalla Romano si innamora di un compagno di quarant’anni più giovane, che a lei, montanina di Demonte, fa conoscere il mare e fa rinascere un desiderio d’amore. Con un tono lieve e arioso, contagiato dal mare, ma con uno sguardo sempre teso e acuto, impastato di luce e di pietra, che conserva qualcosa di crudo e di spigoloso (“Io detesto dire troppo; ma quello che resta è rigorosamente vero: voglio dire limpido, non logico. Le parole devono essere poche, tra spazi e silenzi: così vivono”), ne Le (quattro) lune di Hvar Lalla Romano parla dell’amore e del disagio verso il proprio corpo che invecchia, della gelosia verso le donne giovani, della paura del ridicolo e del giudizio altrui, benevolo con gli uomini, ma feroce se lo svantaggio dell’età riguarda la donna. Parla del desiderio che non si spegne con l’avanzare degli anni, anche se, con malinconia, scrive: “E viene un tempo in cui l’amore si fa solo in sogno…”
Ilaria (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento sabato, 16 novembre 2013
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Le lune di Hvar, oggi incluso nel secondo volume delle Opere, rappresenta lo splendido autunno narrativo di Lalla Romano, scrittrice modernissima e inquieta, non tanto delle piccole cose, come troppo spesso è stato riduttivamente osservato, ma delle piccole cose in quanto non sono tali, e anzi coincidono esattamente con le cose grandi, che scandiscono, in profondità, la nostra esistenza. Il libro che, come ha scritto l’autrice stessa nel risvolto di copertina della prima edizione, si è quasi fatto da solo, è una raccolta di annotazioni, “impressioni” e frammenti scritti durante un viaggio in Croazia con un giovane compagno, in cui il fermo, “gobettiano” rigore conoscitivo della Romano viene travasato in un limpido, cromatico lirismo, dentro un’esperienza di “solitudine, contemplazione, libertà estrema”.
La scrittura forte, eticamente impudica di Lalla Romano, che non sa e non vuole raccontare la vita se non nei modi in cui lei stessa l’ha attraversata, sempre yourcenarianamente “ad occhi aperti”, dopo aver affrontato il tema del dolore e della morte nel bellissimo e struggente Nei mari estremi (1987), libro in cui la malattia del marito diventa occasione per una profonda riflessione sulla qualità estrema della sofferenza e sulla sua ingiustizia, ha una svolta vitale, forte, “scandalosa” e per questo, forse, ancor più imperdonabile: l’amore anziano. A ottantaquattro anni, Lalla Romano si innamora di un compagno di quarant’anni più giovane, che a lei, montanina di Demonte, fa conoscere il mare e fa rinascere un desiderio d’amore. Con un tono lieve e arioso, contagiato dal mare, ma con uno sguardo sempre teso e acuto, impastato di luce e di pietra, che conserva qualcosa di crudo e di spigoloso (“Io detesto dire troppo; ma quello che resta è rigorosamente vero: voglio dire limpido, non logico. Le parole devono essere poche, tra spazi e silenzi: così vivono”), ne Le (quattro) lune di Hvar Lalla Romano parla dell’amore e del disagio verso il proprio corpo che invecchia, della gelosia verso le donne giovani, della paura del ridicolo e del giudizio altrui, benevolo con gli uomini, ma feroce se lo svantaggio dell’età riguarda la donna. Parla del desiderio che non si spegne con l’avanzare degli anni, anche se, con malinconia, scrive: “E viene un tempo in cui l’amore si fa solo in sogno…”
Ilaria (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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