La vita al tempo della crisi
Amalia Signorelli è stata docente di Antropologia culturale nelle Università di Urbino, Roma e Napoli. Allieva di Ernesto De Martino, ha dedicato gran parte dei suoi studi ai processi di modernizzazione dell’Italia meridionale, alle migrazioni, alla condizione femminile e alle culture urbane italiane. Negli ultimi anni ha collaborato con “Il Fatto Quotidiano” ed è stata opinionista in trasmissioni televisive, proponendo interpretazioni antropologiche di fatti politici e di cronaca. Alla sua personalità va dunque riconosciuto il merito di aver avvicinato una parte di pubblico all’antropologia, una materia di non semplice comprensione e diffusione. In questo suo breve saggio, dalla leggibilità molto elevata e dallo stile chiaro, l’autrice studia i cambiamenti avvenuti nella società italiana in seguito alla forte crisi che ha investito e depotenziato ogni settore della nostra società, dall’economia alla politica, dalla famiglia alla scuola, dalla cultura al lavoro. In pratica l’autrice dimostra che nuovi valori hanno modificato – più o meno consapevolmente – il nostro agire quotidiano e lo fa partendo dal vissuto delle persone: studenti e precari, taxisti e professori, commercianti e casalinghe, tutti hanno sperimentato diversi modi di agire, creando saperi innovativi e valori nuovi.
Entrando nel vivo del saggio, se c’è una cosa che la crisi in primissimo luogo ha trasformato è certamente il lavoro: la parola d’ordine ora è flessibilità che esige da parte dell’individuo la capacità di adattarsi in contesti mutevoli. La Signorelli ci fa compiere un piccolo passo indietro: vent’anni fa lo studio e il lavoro andavano di pari passo e in linea di massima erano degli efficienti “ascensori sociali”. Il giovane, dopo aver studiato, lavorava, con un buon salario, godendo di un posto nella società che gli assicurasse dignità, rispetto e la capacità di costruire delle relazioni sociali. Oggi tutto questo è impossibile e già negli anni Settanta sociologi come Bauman, Appadurai avevano dato avvio all’analisi delle trasformazioni culturali e sociali in atto. Le conquiste passate, e non solo quelle sul piano del lavoro, non hanno resistito all’urto di una crisi che ha modificato ruoli, funzioni e posizioni della collettività. Tutto ciò ha creato un altro modo di vivere, esponendo le nostre esistenze a “continue contrattazioni, compromessi, riformulazioni”; in particolare ha portato all’impossibilità strutturale di pensare e agire in termini di progetto (secondo un’etica del trascendere, dell’andare oltre).
Quest’ ultimo elemento rappresenta la chiave di lettura, il pivot della ricerca condotta dalla Signorelli nell’Italia della crisi: la mancanza di progettualità annichilisce l’individuo che finisce lentamente per ritirarsi dal mondo, annullando la presenza di se stesso sia come valore in sé, sia in rapporto alla società e al mondo. A fronte di questo stato delle cose che la Signorelli dipinge senza usare tinte fosche non deve stupire che i giovani (soprattutto i giovanissimi) sappiano, con una certa dose di autoironia, “inventarsi”: sperimentano nuove modalità di relazioni, individuali oppure di coppia, creano nuovi saperi, si inventano, spesso, un lavoro. Ma a un patto: che tutto resti in superficie e ci si abitui a vivere giorno per giorno, ora per ora.
Vale davvero la pena spendere qualche ora del nostro tempo per leggere l’ ultimo lavoro della Signorelli, un libro piccolo, semplice e acuto che non riflette sui massimi sistemi, ma semplicemente racconta quello che capita un po’ a tutti noi nella vita presente.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento giovedì, 20 luglio 2017
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Amalia Signorelli è stata docente di Antropologia culturale nelle Università di Urbino, Roma e Napoli. Allieva di Ernesto De Martino, ha dedicato gran parte dei suoi studi ai processi di modernizzazione dell’Italia meridionale, alle migrazioni, alla condizione femminile e alle culture urbane italiane. Negli ultimi anni ha collaborato con “Il Fatto Quotidiano” ed è stata opinionista in trasmissioni televisive, proponendo interpretazioni antropologiche di fatti politici e di cronaca. Alla sua personalità va dunque riconosciuto il merito di aver avvicinato una parte di pubblico all’antropologia, una materia di non semplice comprensione e diffusione. In questo suo breve saggio, dalla leggibilità molto elevata e dallo stile chiaro, l’autrice studia i cambiamenti avvenuti nella società italiana in seguito alla forte crisi che ha investito e depotenziato ogni settore della nostra società, dall’economia alla politica, dalla famiglia alla scuola, dalla cultura al lavoro. In pratica l’autrice dimostra che nuovi valori hanno modificato – più o meno consapevolmente – il nostro agire quotidiano e lo fa partendo dal vissuto delle persone: studenti e precari, taxisti e professori, commercianti e casalinghe, tutti hanno sperimentato diversi modi di agire, creando saperi innovativi e valori nuovi.
Entrando nel vivo del saggio, se c’è una cosa che la crisi in primissimo luogo ha trasformato è certamente il lavoro: la parola d’ordine ora è flessibilità che esige da parte dell’individuo la capacità di adattarsi in contesti mutevoli. La Signorelli ci fa compiere un piccolo passo indietro: vent’anni fa lo studio e il lavoro andavano di pari passo e in linea di massima erano degli efficienti “ascensori sociali”. Il giovane, dopo aver studiato, lavorava, con un buon salario, godendo di un posto nella società che gli assicurasse dignità, rispetto e la capacità di costruire delle relazioni sociali. Oggi tutto questo è impossibile e già negli anni Settanta sociologi come Bauman, Appadurai avevano dato avvio all’analisi delle trasformazioni culturali e sociali in atto. Le conquiste passate, e non solo quelle sul piano del lavoro, non hanno resistito all’urto di una crisi che ha modificato ruoli, funzioni e posizioni della collettività. Tutto ciò ha creato un altro modo di vivere, esponendo le nostre esistenze a “continue contrattazioni, compromessi, riformulazioni”; in particolare ha portato all’impossibilità strutturale di pensare e agire in termini di progetto (secondo un’etica del trascendere, dell’andare oltre).
Quest’ ultimo elemento rappresenta la chiave di lettura, il pivot della ricerca condotta dalla Signorelli nell’Italia della crisi: la mancanza di progettualità annichilisce l’individuo che finisce lentamente per ritirarsi dal mondo, annullando la presenza di se stesso sia come valore in sé, sia in rapporto alla società e al mondo. A fronte di questo stato delle cose che la Signorelli dipinge senza usare tinte fosche non deve stupire che i giovani (soprattutto i giovanissimi) sappiano, con una certa dose di autoironia, “inventarsi”: sperimentano nuove modalità di relazioni, individuali oppure di coppia, creano nuovi saperi, si inventano, spesso, un lavoro. Ma a un patto: che tutto resti in superficie e ci si abitui a vivere giorno per giorno, ora per ora.
Vale davvero la pena spendere qualche ora del nostro tempo per leggere l’ ultimo lavoro della Signorelli, un libro piccolo, semplice e acuto che non riflette sui massimi sistemi, ma semplicemente racconta quello che capita un po’ a tutti noi nella vita presente.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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