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La versione della cameriera

Si presenta con una copertina magnetica La versione della cameriera di Daniel Woodrell.

Un elegante pianoforte a mezza coda risplende nella luce obliqua che dalle invetriate delle porte taglia obliquamente una stanza in disfacimento. A terra i resti di quella che sembra sia stata un’esplosione. Le ombre e le luci scivolano fuori dalla foto, innervando lo sfondo monocromo della parte bassa della copertina, riservata al titolo. Il centro della trama del romanzo e le sue ombre sono chiaramente allusi: l’evento attorno a cui tutto gira è infatti l’esplosione avvenuta nel 1929 all’interno dell’Arbor Dance Hall, una sala da ballo di West Table, immaginaria cittadina del Missouri. Quarantadue vittime incenerite tra un passo di valzer e l’altro; ventotto di queste ridotte talmente a brandelli da risultare irriconoscibili. Un’intera città attonita e ferita.

I piani temporali si intersecano perché da quel giorno la storia di West Table è la storia di quella esplosione, dei dolori e dei sospetti che genera e che gli anni non possono spegnere, se – come succede – la ricerca furiosa di un colpevole e di una spiegazione pian piano finisce per indebolirsi nell’animo di quasi tutti. Ma non nell’animo della vecchia Alma De Geer, vedova Dunahew, che nella tragedia ha perso l’amata sorella Ruby.

La storia della sua famiglia più che quella di altre sembra intrecciarsi a doppio filo alla vicenda dell’Arbor. Ecco allora che attraverso la narrazione, condotta a tratti dal suo nipote dodicenne Alek, a tratti in terza persona, è proprio intorno all’arbero genealogico dei Dunahew che si indugia maggiormente, come se nelle relazioni dei Dunahew si nascondesse la chiave segreta di tutta la narrazione. Ma il narratore sceglie poi traiettorie diverse e mette in scena personaggi su personaggi; le vite di quasi l’intera popolazione di West Table si intersecano alle vicende di Alma e dell’esplosione. Così conosciamo le miserie e le nobiltà dei membri della comunità, usciamo ed entriamo dalle loro case, scrutiamo i loro segreti da fuori e da dentro, e di fatto ci prepariamo a abitare a lungo un luogo e un’atmosfera in cui il lettore ha chiesto la residenza sentimentale già al termine di questo primo episodio, sapendo che da West Table potrà attendersi mille altre storie.

È effettivamente incredibile la quantità di personaggi che Woodrell riesce a orchestrare in queste appena 180 pagine. Ma ancor più da rilevare è forse quante cose l’autore riesce a infilarci da un punto di vista stilistico pur restando nell’alveo di una narrazione per così dire tradizionale. Nel moltiplicarsi di sospetti, accuse e false confessioni ci sarebbero tutti gli ingredienti per impalcare un tradizionale noir ma il risultato delle scelte dell’autore va invece infine in una direzione diversa, e anche l’etichetta autoattribuita di country noir desta in questo senso il sospetto di un altro sviamento. La versione della cameriera ci pare infatti un romanzo che non può che sfuggire a qualsiasi definizione di genere, anzi sembra che il suo intento sia proprio quello di giocare con i generi. Comincia con caratteri quasi da romanzo gotico preromantico, prosegue come saga familiare, diventa una commedia nera corale, apre squarci lirici da Spoon River quando si accendono come tra dissolvenze incrociate brevi medaglioni biografici su alcune vittime dell’esplosione, cambia di nuovo e si trasforma infine in un apologo sul tema della verità nella vita di una piccola comunità. E a questa danza dei generi sembra dedicarsi anche la lingua, quando secca e puntuta, quando distesa e lirica, quando colorata e ironica: un lavoro appassionante anche per il traduttore, Guido Calza, che pospone al romanzo una nota a memoria di questa bella sfida, decisamente vinta.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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