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La stanza profonda

In settant’anni di Premio Strega  un editore storico come Laterza si era sempre distinto per non aver mai candidato un proprio romanzo. Lo fa nel 2017 per la prima volta ma lo fa distinguendosi anche nel partecipare, concorrendo con "La stanza profonda" di Vanni Santoni, un romanzo che assomiglia a pochi altri romanzi italiani attuali e che, soprattutto, non ci rammenta altri che nel corso degli anni abbiano concorso al più ambito premio letterario italiano.

"La stanza profonda" racconta, in una personalissima reinterpretazione del cosiddetto genere della non-fiction, le vicende di un gruppo di ragazzi che una volta alla settimana per vent’anni si ritrovano per officiare un rito: quello dei giochi di ruolo. Ci sono i giocatori più fedeli, che in vent’anni non hanno perso un martedì, e ci sono quelli che in quei vent’anni hanno avuto solo un ruolo da comparsa o poco più, ci sono le vicende dei giocatori e c’è l'epopea dei giochi di ruolo (con passaggi di vera e propria storia e filosofia del gioco), c’è il mondo intorno che cambia e c’è la stanza dei giochi in cui invece il tempo sembra non passare, c’è la vita di provincia che si fa sempre più  alienante e c’è quella dimensione parallela in cui i fiumi di acqua viva – quelli vivificati dalla potenza mistica dell’immaginazione, naturalmente  – sembrano non seccarsi mai.

Il libro pare completare una trilogia della controcultura generazionale (ambientata in Toscana ma naturalmente di emblematicità non solo toscana) che potremmo chiamare la “trilogia degli interessi in comune”, dal titolo del romanzo che la inaugurò nel 2008 (e da cui deriva anche un personaggio di "La stanza profonda, il Paride, a conferma di una sostanziale  continuità di ispirazione), e che comprende anche Muro di casse. Gli interessi in comune sono di volta in volta le droghe, i rave party e i giochi di ruolo e l’insieme dei tre libri dipinge un polittico della cultura underground con uno stile libero come la cultura che lo permea, capace di alternare prosa aulica e vernacolo, versi e reportage, documenti e invenzione, linguaggio saggistico (con tanto di note) ed elegia, ecc. in una tavolozza stilistica che è già essa stessa controculturale col suo mescolare tutto. Dall’insieme di questi tre libri sembra traboccare come da una cornucopia una moltitudine di emblemi controgenerazionali, in un catalogo animato che ricorda quelle  auto che nell’inizio di "Rumore bianco" di Don Delillo portano gli studenti al loro primo giorno di college, piene di tutto ciò che rappresenta l’identità simbolica collettiva (impianti stereo, macchine fotografiche, personal computer, racchette da tennis, mazze da hockey ecc.). Ma al negativo: lì si tratta dell'identità collettiva manifesta di una nazione, qui della sua ombra, eppure non per questo in modo minore della sua anima.

E infatti, tornando a "La stanza profonda", quello che del libro resta, e che lo rende di rilievo nel panorama della letteratura italiana di questi anni, ben oltre i fenomeni di rispecchiamento o di nostalgia di coloro che con Santoni gli interessi li hanno veramente condivisi, è proprio aver dato corpo a questa ombra, nonché ad una costellazione etica ed estetica che il romanzo disegna e fa ruotare sopra e intorno ai suoi personaggi ed eventi, senza che questa trascenda mai il racconto fino al punto da farlo apparire un racconto a tesi.  Così come, mescolate con l’impasto di notizie e nozioni specialistiche (somministrate sempre in modo leggibile) e con la libertà stilistica, stanno le strutture più semplici ed universali della narrazione, della fiaba e del romanzo di formazione o, per meglio dire, di controformazione. Basti pensare alla vicenda del protagonista e all’enorme determinazione con cui insegue il sogno di costituire un gruppo di gioco nonostante gli ostacoli e nell’apparente deserto in cui si muove. Oppure alla costituzione naturale di una comunità che giocando si autogoverna, sperimentando le infinite possibilità alternative che si dischiudono nel rapporto aperto tra libertà e regolamenti. O, ancora, alla storia della conquista e della gestione delle leadership non autoritarie e al riconosciuto primato demiurgico della mente e dell’immaginazione. Che poi in fondo è forse proprio questa l’eredità sostanziale che il libro e l’intera trilogia ci consegnano, come un diario di resistenza nell’epoca del trionfo dell’omologazione.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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