La gioia di vivere
Vittorino Andreoli, psichiatra veronese di fama mondiale, classe 1940, si è sempre occupato di studiare e comprendere in profondità i segreti della mente, per poter aiutare concretamente l’uomo alleviandone le sofferenze con straordinaria competenza scientifica, sensibilità, delicatezza e coerenza. Il saggio è una lettura scorrevole e piacevole che unisce insieme la psichiatria e la filosofia, tra metodo scientifico e approccio teorico. Il libro parte dall'esemplificazione di due mondi speculari e contrapposti: il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto, la forza di un sorriso e la lotta con un coltello, la luce e il buio. Da una parte gli esseri umani arroganti, aggressivi, anche un po' xenofobi che guardano la vita con gli occhi della paura, dall'altra gli ottimisti, i generosi, coloro che si danno da fare per correggere le storture della società; in mezzo, una categoria di persone per la quali scorre tutto davanti in modo neutro, incolore. La parte che caldeggia l'autore è chiara fin dalle prime pagine del libro, anzi forse proprio dalla pagina iniziale in cui Andreoli dedica il libro alla moglie Laura e alla sua “gioia di vivere”. La parola gioia viene dal latino gaudium che deriva da gaudeo, godo e appartiene alla stessa famiglia di gioiello, una cosa preziosa da tenere in considerazione; oggi, invece, si parla sempre più spesso di felicità che ha la sua radice nel verbo feo legato alla produttività e alla fertilità umana. Si è dunque felici, quindi, perché si è appagati, un discorso diverso rispetto alla gioia che implica, come leggiamo in questo testo, un cammino verso la saggezza. La gioa si costruisce su misura di ciascun individuo, a partire dai piccoli passi e da una nuova visione del mondo o Weltanschauun.
Ci vengono in aiuto anche i classici del passato: da Epicuro («Essere felici è avere dei desideri») a Cicerone («Bisogna vivere in modo che anche da morti si possa rimanere in vita») a Seneca («È importante accogliere serenamente tutto ciò che capita, incluse malattia e morte»). Si arriva poi a Sartre, a Schopenhauer che distingue l'uomo tra ciò che è, ciò che ha e ciò che rappresenta e si riprendono in mano anche pagine molto significative dal meraviglioso Saggio sul dono dell'antropologo Marcel Mauss che invita l'individuo ad andare controcorrente e a non fare regali in denaro, ma doni che fanno parte di ciò che siamo. A questo punto l'autore indica la necessità di uscire dalla dimensione dell’io per riscoprire la dimensione del noi, la relazione verso l’altro, i legami affettivi, e la capacità di vivere nel presente. Creare dialogo e solidarietà rappresenta un cambio di paradigma per la nostra società: attuandolo ci si può incamminare a piccoli passi perso la gioia di vivere.
Carolina (Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento martedì, 30 giugno 2020
Vittorino Andreoli, psichiatra veronese di fama mondiale, classe 1940, si è sempre occupato di studiare e comprendere in profondità i segreti della mente, per poter aiutare concretamente l’uomo alleviandone le sofferenze con straordinaria competenza scientifica, sensibilità, delicatezza e coerenza. Il saggio è una lettura scorrevole e piacevole che unisce insieme la psichiatria e la filosofia, tra metodo scientifico e approccio teorico. Il libro parte dall'esemplificazione di due mondi speculari e contrapposti: il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto, la forza di un sorriso e la lotta con un coltello, la luce e il buio. Da una parte gli esseri umani arroganti, aggressivi, anche un po' xenofobi che guardano la vita con gli occhi della paura, dall'altra gli ottimisti, i generosi, coloro che si danno da fare per correggere le storture della società; in mezzo, una categoria di persone per la quali scorre tutto davanti in modo neutro, incolore. La parte che caldeggia l'autore è chiara fin dalle prime pagine del libro, anzi forse proprio dalla pagina iniziale in cui Andreoli dedica il libro alla moglie Laura e alla sua “gioia di vivere”. La parola gioia viene dal latino gaudium che deriva da gaudeo, godo e appartiene alla stessa famiglia di gioiello, una cosa preziosa da tenere in considerazione; oggi, invece, si parla sempre più spesso di felicità che ha la sua radice nel verbo feo legato alla produttività e alla fertilità umana. Si è dunque felici, quindi, perché si è appagati, un discorso diverso rispetto alla gioia che implica, come leggiamo in questo testo, un cammino verso la saggezza. La gioa si costruisce su misura di ciascun individuo, a partire dai piccoli passi e da una nuova visione del mondo o Weltanschauun.
Ci vengono in aiuto anche i classici del passato: da Epicuro («Essere felici è avere dei desideri») a Cicerone («Bisogna vivere in modo che anche da morti si possa rimanere in vita») a Seneca («È importante accogliere serenamente tutto ciò che capita, incluse malattia e morte»). Si arriva poi a Sartre, a Schopenhauer che distingue l'uomo tra ciò che è, ciò che ha e ciò che rappresenta e si riprendono in mano anche pagine molto significative dal meraviglioso Saggio sul dono dell'antropologo Marcel Mauss che invita l'individuo ad andare controcorrente e a non fare regali in denaro, ma doni che fanno parte di ciò che siamo. A questo punto l'autore indica la necessità di uscire dalla dimensione dell’io per riscoprire la dimensione del noi, la relazione verso l’altro, i legami affettivi, e la capacità di vivere nel presente. Creare dialogo e solidarietà rappresenta un cambio di paradigma per la nostra società: attuandolo ci si può incamminare a piccoli passi perso la gioia di vivere.
Carolina (Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento martedì, 30 giugno 2020