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La disputa felice

 

Trasmissioni televisive in cui la rissa verbale (e anche fisica!) si è affermata come la modalità più frequente del confronto tra idee; social network alla mercé di affermazioni oltraggiose, che scatenano un putiferio di contumelie, male parole e conflitti esacerbati: l’esperienza quotidiana lascia poco margine alla speranza che il disaccordo tra le persone possa essere gestito in modo diverso dal conflitto malmostoso e virulento. Ed è proprio questa assenza di speranza a farci cambiare canale quando un talk show si trasforma in un incontro di pugilato, e a consigliarci il silenzio diplomatico quando ci imbattiamo in un post che esprime idee configgenti con le nostre. Molto meglio cercare conferme all’interno della propria tribù, chiudendosi nel confortevole mondo di chi la pensa come noi, e lasciar fuori tutti coloro che offendono le nostre certezze e mettono a repentaglio le nostre abitudini mentali: d’altronde, gli stessi algoritmi che selezionano le news feed su Facebook e altri social network sono concepiti proprio per offrire in primo piano i contenuti ai quali abbiamo espresso in precedenza la nostra adesione, andando a creare una sorta di barriera di protezione e consenso attorno al nostro mondo di valori ed esperienze. Ma quando ci imbattiamo in un approccio diverso dal nostro, quando “incrociamo l’altro”, spesso ci ritroviamo a reagire in modo inconsulto, entrando mani e piedi nel conflitto, drammatizzando il nostro sdegno verso la posizione opposta alla nostra, squalificando il punto di vista altrui, trasformando ogni affermazione di merito in una offesa personale da lavare come la peggiore onta.

L’universo digitale è dunque destinato a trasformarsi in un ring? Non necessariamente, almeno stando a quanto ci dice Bruno Mastroianni (vedi), autore del libro "La disputa felice". Seguendo la sua riflessione, riusciamo a notare come la grande piazza di Internet ci permetta oggi di sperimentare la straordinaria esperienza di entrare in contatto immediato con chi la pensa in modo diametralmente opposto a noi, vivendo in mondi valoriali molto distanti dal nostro, con l’effetto – mai vissuto in precedenza – di incappare nelle sue reazioni anche estreme, a volte violente e volgari, nei confronti delle nostre affermazioni.

La disintermediazione, l’assenza di vaglio e controllo nella selezione delle informazioni, l’uguaglianza sostanziale tra soggetti che esercitano il diritto di comunicare liberamente, la perdita del concetto di autorità e della differenza tra sapere e non sapere ci pongono di fronte ad una inedita sfida culturale e - prima ancora - umana: quella di rapportarsi alla diversità dell’altro, affrontando le naturali divergenze come una straordinaria occasione di incontro tra le persone: “Sta a noi decidere come impostare questi incontri tra persone, per trasformarli in relazioni piene di senso o in alterchi pieni di smarrimento” (pag. 18).

Non si tratta di fare i buonisti, sorridendo o tacendo di fronte alle contumelie altrui; non si tratta neppure di essere diplomatici o “politically correct”: la vera sfida è quella di “mantenere l’attenzione, le energie e la concentrazione sui temi e sugli argomenti in oggetto, senza andare a rompere la relazione tra i due disputanti proprio per farsi nutrire dalla differenza che ne emerge” (pag. 21-22). Dovremo dunque tenere a distanza il nostro ego dal tema dello scontro, evitando tutte le espressioni belligeranti che tendono a far scattare nell’altro meccanismi reattivi destinati ad esacerbare il conflitto, evitando generalizzazioni e manipolazioni, lasciando cadere le provocazioni, riconoscendo la vulnerabilità propria e altrui e soprattutto rifuggendo dalle “proiezioni più superbe della propria competenza, delle proprie capacità, della bontà dei propri argomenti” (pag. 98).

La disputa non deve essere evitata attraverso mielose soluzioni di compromesso e infingimenti destinati a mantenere acceso il fuoco sotto la cenere: la disputa diventa invece “felice” quando permette a due o più persone di confrontare e mettere alla prova i rispettivi mondi di appartenenza, offrendo loro l’opportunità di misurare la divergenza e da lì maturare almeno un piccolo ampliamento della propria zona di comfort. Uscire almeno un momento, per un centimetro, dal proprio mondo per cercare di intercettare l’altra persona nel proprio mondo, è una esperienza di libertà e di ricchezza a cui nessuno di noi dovrebbe rinunciare in nome della conferma integrale delle proprie certezze.

 Maria Stella Rasetti (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

 

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