La cosa giusta
A ben sei anni di distanza dall'esordio sui grandi palcoscenici della letteratura italiana con i racconti di Tutto sarebbe tornato a posto, lo scrittore pistoiese Michele Cocchi torna a far parlare della sua scrittura calibrata e rigorosa, stavolta con un romanzo, La cosa giusta. Forte è comunque il legame con il libro precedente e soprattutto con il racconto da cui prendeva in prestito il titolo. C'è un ragazzo in fuga anche qui e anche qui il bosco in cui si snoda la sua vicenda assume quasi le sembianze di un personaggio principale, che detta alla narrazione i ritmi, le atmosfere, forse perfino le azioni.
Il romanzo si apre con una scena violenta, brutale, inconsueta, e di cui ci sfuggono le ragioni. Dopo c'è solo Gabriele che fugge e suo padre, alcolizzato, che lo insegue. La madre se n'è andata da anni. Nel movimento di fuga e inseguimento emergono lacerti di passato, tracce di personalità contorte, sospetti di conti in sospeso. Il lettore resta però immerso per gran parte del tempo nell'ombra che si stende sulle ragioni che regolano i rapporti personali tra padre e figlio e tra i due personaggi principali e quelli secondari che incontrano nelle poco più di duecento pagine del romanzo. L'inseguimento del padre è anche un viaggio nella memoria; la fuga del figlio un'esplorazione di una nuova possibilità, soprattutto quando si aggiunge, come fosse una nuova famiglia, a una comune ecologista che vive in un casolare di montagna.
È un libro che ha il sapore della letteratura d'altri tempi questo romanzo, che dopo la scena iniziale assume i toni e i ritmi di una narrazione più distesa, a cui forse difetta un po' di ritmo, ma stupisce per controllo e per la capacità di costruzione di personaggi dai forti chiaroscuri interiori, senza ricorrere a psicologismi, e di dare parola con notevole efficacia a odori, luci e rumori del bosco e della montagna, luoghi amati dall'autore sin dalla sua infanzia. Riguardo questo aspetto, stupisce la non calcolata affinità tematica con la pubblicazione, praticamente in contemporanea, dei romanzi di due autori italiani più o meno coetanei di Cocchi: Le otto montagne di Paolo Cognetti e Il giro del miele di Sandro Campani, a cui La cosa giusta va apparentato. Ma il pensiero va subito soprattutto a un delicato e profondo scrittore dimenticato come Francesco Biamonti, alla cui lezione Cocchi sembra aver attinto, insieme a quella dei numerosi maestri della tradizione che nelle sue pagine riecheggiano: Pavese, Bilenchi, Fenoglio, Cassola.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 11 settembre 2017
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A ben sei anni di distanza dall'esordio sui grandi palcoscenici della letteratura italiana con i racconti di Tutto sarebbe tornato a posto, lo scrittore pistoiese Michele Cocchi torna a far parlare della sua scrittura calibrata e rigorosa, stavolta con un romanzo, La cosa giusta. Forte è comunque il legame con il libro precedente e soprattutto con il racconto da cui prendeva in prestito il titolo. C'è un ragazzo in fuga anche qui e anche qui il bosco in cui si snoda la sua vicenda assume quasi le sembianze di un personaggio principale, che detta alla narrazione i ritmi, le atmosfere, forse perfino le azioni.
Il romanzo si apre con una scena violenta, brutale, inconsueta, e di cui ci sfuggono le ragioni. Dopo c'è solo Gabriele che fugge e suo padre, alcolizzato, che lo insegue. La madre se n'è andata da anni. Nel movimento di fuga e inseguimento emergono lacerti di passato, tracce di personalità contorte, sospetti di conti in sospeso. Il lettore resta però immerso per gran parte del tempo nell'ombra che si stende sulle ragioni che regolano i rapporti personali tra padre e figlio e tra i due personaggi principali e quelli secondari che incontrano nelle poco più di duecento pagine del romanzo. L'inseguimento del padre è anche un viaggio nella memoria; la fuga del figlio un'esplorazione di una nuova possibilità, soprattutto quando si aggiunge, come fosse una nuova famiglia, a una comune ecologista che vive in un casolare di montagna.
È un libro che ha il sapore della letteratura d'altri tempi questo romanzo, che dopo la scena iniziale assume i toni e i ritmi di una narrazione più distesa, a cui forse difetta un po' di ritmo, ma stupisce per controllo e per la capacità di costruzione di personaggi dai forti chiaroscuri interiori, senza ricorrere a psicologismi, e di dare parola con notevole efficacia a odori, luci e rumori del bosco e della montagna, luoghi amati dall'autore sin dalla sua infanzia. Riguardo questo aspetto, stupisce la non calcolata affinità tematica con la pubblicazione, praticamente in contemporanea, dei romanzi di due autori italiani più o meno coetanei di Cocchi: Le otto montagne di Paolo Cognetti e Il giro del miele di Sandro Campani, a cui La cosa giusta va apparentato. Ma il pensiero va subito soprattutto a un delicato e profondo scrittore dimenticato come Francesco Biamonti, alla cui lezione Cocchi sembra aver attinto, insieme a quella dei numerosi maestri della tradizione che nelle sue pagine riecheggiano: Pavese, Bilenchi, Fenoglio, Cassola.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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