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L'uomo del futuro

 

“Non discuterò qui l’idea di Patria in sé. Non mi piacciono queste divisioni.
Se però avete diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni son la mia Patria, gli altri i miei stranieri.”

Qualcuno ha scritto che L’uomo del futuro, ultimo libro  di Eraldo Affinati, finalista al Premio Strega 2016 - è un romanzo. Ci pare più calzante la definizione che ne dà l’autore stesso (vedi): “pellegrinaggio, breviario interiore, indagine conoscitiva”. Che è poi una forma di narrazione a cui lo scrittore romano ha abituato i suoi lettori sin dal lontano Campo del sangue (1997), cronaca di un pellegrinaggio tra Venezia e Auschwitz sulle tracce dei deportati nei lager nazisti e allo stesso tempo continua interrogazione del pensiero e della letteratura del  Novecento.

Ne L’uomo del futuro Affinati, consolidando e approfondendo il discorso sull’etica e sulla pedagogia, nonché sul senso della missione cristiana e umana ai giorni d'oggi, che sta conducendo ormai da anni, si mette sulle strade di Don Lorenzo Milani, figura tra le più rivoluzionarie del secolo scorso in Italia, sia come priore sia come educatore. In un continuo gioco di inseguimento e rispecchiamento, la figura del grande maestro è scandita dalle tracce ritrovate andando a ripercorrere le sue strade, visitare i suoi luoghi e incontrare le persone che con lui ebbero a che fare, a partire dall’infanzia borghese fino alla sua scomparsa, da maestro fino all’ultimo istante, in mezzo ai suoi allievi.

Ma l’opera di Affinati non è un’opera celebrativa. Assomiglia più all’aggiungere e ravvivare il fuoco di una missione. Le parole di e su Don Milani allora si moltiplicano e si rifraggono in quelle di altri molti suoi inconsapevoli epigoni che nel mondo di oggi si occupano di prestare il loro servizio a favore degli ultimi. Ecco allora che la struttura stessa del libro si articola su un doppio binario: dieci capitoli dedicati al pellegrinaggio e alle riflessioni su Don Milani alternati a dieci capitoli, più brevi, tratti dai diari di viaggio dello stesso Affinati ovunque nel mondo ci sia qualcuno che “fa scuola” dove le condizioni sembrano le più disperate e proibitive, laddove soltanto imparare a leggere e a scrivere può essere il discrimine tra l’avere una chance di vita e lo scomparire nel nulla: in una minuscola comunità nel deserto del Marocco, tra i meninos de rua in centroamerica, in uno sperduto villaggio del Gambia, tra i più giovani e inconsapevoli naziskin di Berlino, a Benares tra i lebbrosi, a Hiroshima tra gli ultimi testimoni sopravvissuti dell’Atomica… Perché, come nel 1992 scrisse padre Ernesto Balducci: “Barbiana non è più in Mugello: Barbiana è in Africa, è nel Medio Oriente, Barbiana è una comunità musulmana, Barbiana è nell’America latina. Le Barbiane del mondo dicono che noi ci comportiamo come se il mondo fossimo noi.” In questo senso Don Milani è stato ed è ancora un uomo del futuro.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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