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L'infinitamente poco

 

Ho gettato via la mia coppa quando ho visto un bambino bere alla fonte dalle proprie mani (Diogene)

Dominique Loreau, scrittrice e giornalista francese, si è trasferita in Giappone da oltre vent’anni: dal suo paese d’adozione ha assimilato filosofia e stili di vita, basati sul principio zen “meno è meglio” che si può applicare in ogni ambito della vita, sia materiale che spirituale. Questo insegnamento è stato trasmesso ai lettori occidentali attraverso i suoi libri, editi in Italia da Vallardi, ad esempio Il piacere della frugalità, un testo veramente interessante che tutti dovremmo leggere per riscoprire la cura e la bellezza del cibo, oppure L’arte della semplicità, un fortunato libretto (venduto in Francia in poche settimane in 340 mila copie) che insegna a vivere rispettando il canone della sobrietà. Insomma, grazie alle letture di Dominique Loreau ‘l’infinitamente poco’ dovrebbe divenire un obiettivo da perseguire a trecentosessanta gradi. Pensiamo che un uomo della Mongolia possiede in media trecento oggetti personali e un giapponese seimila. E noi occidentali? Molti, ma molti di più da dieci a trentamila. Tutto questo, in realtà, non produce benessere o felicità, ma ci crea stress e complicazioni, oltre alle difficoltà di trovare quello che stiamo cercando. La cura – secondo l’autrice c’è – e implica un rovesciamento di prospettiva. Anziché “pensare in grande” è necessario “pensare in piccolo”. In una società come la nostra in cui il superfluo appare come il necessario, la filosofia giapponese minimalista del “vivere con quanto basta” sembra un'utopia. Eppure la sobrietà non deve essere un cammino penitenziale, perché non esclude l'eleganza né il piacere delle belle cose, ma restituisce al denaro il ruolo di strumento utile, da usare per fare esperienze, viaggiare, studiare, acquistare poche cose importanti invece di tante cianfrusaglie. L’essenzialità deve quindi essere perseguita in tutti i campi della nostra vita: dall’alimentazione all’abbigliamento, dalle attività intellettuali ai rapporti umani, dall’uso del tempo a quello del denaro. Pensiamo ad esempio al nostro guardaroba: non solo sarebbe opportuno eliminare i vestiti che non si usano da tempo, ma è necessario comprare pochi abiti che ci stiano bene di ottima qualità, una sola borsa di buona fattura che si possa usare in ogni occasione e che duri per anni. Lo stesso per l’alimentazione: mangiare solo il necessario e privarsi del superfluo, eliminare i cibi raffinati, i dolci che appesantiscono il corpo e di conseguenza anche la mente. Gli stessi principi valgono per la cura del corpo: al posto di costose creme di bellezza si suggerisce l’uso di alcune gocce d’olio e spazio ai rituali di brossage e bagni caldi. La seconda parte del libro parla della semplicità applicata alla mente: l’importanza dell’arte dell’ascolto, del saper utilizzare le parole con parsimonia ("Le parole servono a descrivere i pensieri, ma quando un pensiero è stata assimilato le parole non sono più necessarie") e di dedicare un poco del nostro tempo giornaliero "(la sola cosa che possediamo davvero") alla meditazione e al silenzio. Una volta soddisfatti i bisogni primari ("mangiare, vestirsi e avere un tetto sopra la testa"), se applichiamo la filosofia dell’infinitamente poco saremo in grado di far fronte a qualsiasi cambiamento o avversità. Vivere con poco significa riscoprire la gioia delle piccole cose, liberandosi dalle schiavitù materiali e dall’ansia di possedere oggetti e far prevalere il nostro io su quello altrui. Significa vivere in maniera autentica, liberi dai giudizi altrui, facendo tesoro di ciò che la vita ci ha gratuitamente donato.

Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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