L'estate del '78
In un caldo pomeriggio d’estate a Mondello, mentre Roberto e suo fratello procedono lungo la solita strada di casa, un cammino già consolidato che non riserva sorprese, vedono la loro madre Elena seduta sul marciapiede con la mano che ripara gli occhi dal sole: avevo voglia di vedervi, dice. Elena due anni prima se ne era andata di casa, in seguito alla sua decisione di separarsi dal padre dei due ragazzi, Vittorio.
È questa l’ultima volta in cui la madre parla ai propri figli; Elena, ostaggio di ricoveri ospedalieri, di polsi fasciati e di un terribile medicinale - lo Spasmo Oberon che le dava una pericolosa dipendenza - decide volontariamente di abbandonare il suo corpo tre mesi dopo quell’addio.
Una vicenda così intima e personale diventa un romanzo necessario e personale per l’autore. Il momento da cui scaturisce questo libro è appunto l’estate del 1978, la stagione della maturità in cui Alajmo passa lunghe giornate a studiare con gli amici in vista degli esami e traccia una linea di confine che separa la giovinezza dall’età adulta. Questo fugace incontro avvenuto per caso con la madre viene rivissuto in ogni minimo dettaglio: Roberto non aveva avuto sentore dell’abbandono definitivo della madre e neppure prevedeva quello che a breve sarebbe accaduto. Ricercare attraverso la scrittura il senso di un commiato è un’operazione letteraria molto difficile, soprattutto se eseguita – come lo scrittore riesce a fare - con un distacco magistrale che tocca le corde più profonde del nostro intimo. Mai il lettore ha infatti, la sensazione di spiare dal buco della serratura una vicenda segreta o di intrufolarsi in qualcosa di strettamente privato; anche le fotografie che compaiono come segnalibro all’interno delle pagine sottolineano una veridicità non tanto nel narrare, quanto nel condividere i ricordi del passato con chi legge.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 25 febbraio 2019
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In un caldo pomeriggio d’estate a Mondello, mentre Roberto e suo fratello procedono lungo la solita strada di casa, un cammino già consolidato che non riserva sorprese, vedono la loro madre Elena seduta sul marciapiede con la mano che ripara gli occhi dal sole: avevo voglia di vedervi, dice. Elena due anni prima se ne era andata di casa, in seguito alla sua decisione di separarsi dal padre dei due ragazzi, Vittorio.
È questa l’ultima volta in cui la madre parla ai propri figli; Elena, ostaggio di ricoveri ospedalieri, di polsi fasciati e di un terribile medicinale - lo Spasmo Oberon che le dava una pericolosa dipendenza - decide volontariamente di abbandonare il suo corpo tre mesi dopo quell’addio.
Una vicenda così intima e personale diventa un romanzo necessario e personale per l’autore. Il momento da cui scaturisce questo libro è appunto l’estate del 1978, la stagione della maturità in cui Alajmo passa lunghe giornate a studiare con gli amici in vista degli esami e traccia una linea di confine che separa la giovinezza dall’età adulta. Questo fugace incontro avvenuto per caso con la madre viene rivissuto in ogni minimo dettaglio: Roberto non aveva avuto sentore dell’abbandono definitivo della madre e neppure prevedeva quello che a breve sarebbe accaduto. Ricercare attraverso la scrittura il senso di un commiato è un’operazione letteraria molto difficile, soprattutto se eseguita – come lo scrittore riesce a fare - con un distacco magistrale che tocca le corde più profonde del nostro intimo. Mai il lettore ha infatti, la sensazione di spiare dal buco della serratura una vicenda segreta o di intrufolarsi in qualcosa di strettamente privato; anche le fotografie che compaiono come segnalibro all’interno delle pagine sottolineano una veridicità non tanto nel narrare, quanto nel condividere i ricordi del passato con chi legge.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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