L'altra figlia
"Ma tu non sei mia sorella, non lo sei mai stata. Non abbiamo giocato, mangiato, dormito insieme. Non ti ho mai toccata, abbracciata. Non conosco il colore dei tuoi occhi. Non ti ho mai vista. Sei senza corpo, senza voce, sei giusto un’immagine piatta su qualche foto in bianco e nero. Non ho alcun ricordo di te. Quando sono nata eri già morta da due anni e mezzo. Tu sei la figlia del cielo, la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto. Sei sempre stata morta. Sei entrata morta nella mia vita nell’estate dei miei dieci anni. Nata e morta come in un racconto, come Bonnie, la figlia di Rossella e Rhett in Via col Vento."
Mi chiedo se stia nel ritmo che imprime alle frasi il segreto di Annie Ernaux. Subito dopo mi domando se invece risieda nell’apparente semplicità con cui (e la frase qui in alto lo testimonia) la scrittrice francese mette insieme le parole, accostandole come se fossero dei colori, facendole suonare come fossero note. Passa qualche minuto e mi dico che non può essere così, o soltanto così, e già sarebbe tanto, e allora mi convinco che la forza di Ernaux vada cercata nella sua struttura mentale, nella sua grande capacità analitica, nella limpidezza con cui si guarda dentro e si racconta, e nella capacità di fondere poi quel racconto personale con il mondo che la circonda, con i tempi passati e presenti, con la storia, la politica e il costume. Lo vedete da voi, Ernaux è tutte queste cose, che non possono essere liquidate semplicemente con la parola “talento”. Posso saper scrivere ma non conoscere, posso capire tutto ma non essere in grado di metterlo su un foglio, posso essere il più grande osservatore della vita e delle cose, ma a che serve se non sono in grado di raccontarlo.
Annie Ernaux è una scrittrice straordinaria, l’abbiamo amata con "Il posto" e soprattutto con "Gli anni", due libri indimenticabili, la ritroviamo ora con questo libro piccolo e prezioso, un romanzo epistolare, una lunga lettera scritta alla sorella morta prima che Annie nascesse. Un romanzo solo in apparenza più intimo dei precedenti due, perché qui troviamo forse le ragioni che hanno condotto Ernaux verso la scrittura, l’insegnamento; verso tutto ciò che ha fatto e vissuto.
"Me ne allontano di anno in anno, ma è un’illusione. Tra me e te non c’è del tempo. Ci sono delle parole che non sono mai cambiate."
Annie scopre di aver avuto una sorella, morta prima che lei nascesse. Una nascita e una morte che le sono state tenute nascoste, come se non fossero mai avvenute. Scopre tutto per caso, quando ha dieci anni, ascoltando un pezzo di conversazione tra adulti. Per la bambina tutto cambia, e tutto cambierà per la donna che verrà. La non esistenza, prima ancora che l’assenza diventa di colpo presenza, qualcosa che c’è stato, e che ora non è più. Ma può non esserci più qualcosa che non c’è mai stato? Perché per Annie è così. C’è una fotografia in bianco e nero, la bambina ha sempre pensato (le hanno lasciato credere) che quella nella foto fosse lei e invece no. Ha sempre pensato di essere figlia unica e invece no. Di colpo è la seconda ignara, la diversa, la meno amata, o amata di riserva, tenuta in panchina come sostituta, e poi la ribelle, quella più distante dal cielo. La figlia terrena, con lo stesso sangue ma più chiaro, un sangue venuto dopo. Tutto taciuto, tutto nascosto, perfino le visite al cimitero. Ernaux intraprende una battaglia, con i genitori e con la sorella morta. Una battaglia fatta di rimpianti, di amore mancato o non capito, amore rimbalzato, amore capitato. Una battaglia fatta anche di nostalgia, di mancate condivisioni, di un affetto a levare, come un battito che stona, come tutte le cose che si sentono e non si comprendono. Una battaglia che dura tutta la vita, che non si risolve se non con questa lettera che deve essere costata a Ernaux molta fatica, questa lettera di cui la stessa autrice fino in fondo ignora il vero significato. Di sicuro è questa una lettera bellissima che commuove e scava dentro ogni lettore, mostrando cose visibili che non avevamo scorto; una lettera che ci porta davanti a una tomba, a tutte le tombe davanti alle quali non abbiamo niente da dire, spesso per amore, spesso perché così vanno le cose. Ci sono libri belli e sono tanti, e poi ci sono libri e scrittori in grado di incidere nei pensieri, nelle sensazioni, negli stati d’animo di chi legge; Ernaux e i suoi romanzi fanno questo, non ho dubbi. Mi permetto di ringraziare, prima di chiudere, Lorenzo Flabbi che ha tradotto i romanzi di Annie Ernaux fin qui pubblicati in Italia, capisco leggendo che è stato fatto un lavoro straordinario, me ne accorgo da non conoscitore del francese, se questi libri suonano anche in italiano c’è un perché, il segreto è il traduttore.
"Forse ho voluto saldare un debito immaginario dandoti a mia volta l’esistenza che la tua morte mi ha dato."
Ernaux ha scelto la lontananza dalla famiglia, il distacco, che non vuol dire mancanza d’amore, ma vuol dire la giusta distanza; ha scelto la vita come tentativo di comprensione, ha scelto di scriverlo e ha fatto bene.
Gianni Montieri (poeta e critico, in collaborazione con Poetarum Silva)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 3 ottobre 2016
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"Ma tu non sei mia sorella, non lo sei mai stata. Non abbiamo giocato, mangiato, dormito insieme. Non ti ho mai toccata, abbracciata. Non conosco il colore dei tuoi occhi. Non ti ho mai vista. Sei senza corpo, senza voce, sei giusto un’immagine piatta su qualche foto in bianco e nero. Non ho alcun ricordo di te. Quando sono nata eri già morta da due anni e mezzo. Tu sei la figlia del cielo, la bambina invisibile di cui non si parlava mai, la grande assente da tutte le conversazioni. Il segreto. Sei sempre stata morta. Sei entrata morta nella mia vita nell’estate dei miei dieci anni. Nata e morta come in un racconto, come Bonnie, la figlia di Rossella e Rhett in Via col Vento."
Mi chiedo se stia nel ritmo che imprime alle frasi il segreto di Annie Ernaux. Subito dopo mi domando se invece risieda nell’apparente semplicità con cui (e la frase qui in alto lo testimonia) la scrittrice francese mette insieme le parole, accostandole come se fossero dei colori, facendole suonare come fossero note. Passa qualche minuto e mi dico che non può essere così, o soltanto così, e già sarebbe tanto, e allora mi convinco che la forza di Ernaux vada cercata nella sua struttura mentale, nella sua grande capacità analitica, nella limpidezza con cui si guarda dentro e si racconta, e nella capacità di fondere poi quel racconto personale con il mondo che la circonda, con i tempi passati e presenti, con la storia, la politica e il costume. Lo vedete da voi, Ernaux è tutte queste cose, che non possono essere liquidate semplicemente con la parola “talento”. Posso saper scrivere ma non conoscere, posso capire tutto ma non essere in grado di metterlo su un foglio, posso essere il più grande osservatore della vita e delle cose, ma a che serve se non sono in grado di raccontarlo.
Annie Ernaux è una scrittrice straordinaria, l’abbiamo amata con "Il posto" e soprattutto con "Gli anni", due libri indimenticabili, la ritroviamo ora con questo libro piccolo e prezioso, un romanzo epistolare, una lunga lettera scritta alla sorella morta prima che Annie nascesse. Un romanzo solo in apparenza più intimo dei precedenti due, perché qui troviamo forse le ragioni che hanno condotto Ernaux verso la scrittura, l’insegnamento; verso tutto ciò che ha fatto e vissuto.
"Me ne allontano di anno in anno, ma è un’illusione. Tra me e te non c’è del tempo. Ci sono delle parole che non sono mai cambiate."
Annie scopre di aver avuto una sorella, morta prima che lei nascesse. Una nascita e una morte che le sono state tenute nascoste, come se non fossero mai avvenute. Scopre tutto per caso, quando ha dieci anni, ascoltando un pezzo di conversazione tra adulti. Per la bambina tutto cambia, e tutto cambierà per la donna che verrà. La non esistenza, prima ancora che l’assenza diventa di colpo presenza, qualcosa che c’è stato, e che ora non è più. Ma può non esserci più qualcosa che non c’è mai stato? Perché per Annie è così. C’è una fotografia in bianco e nero, la bambina ha sempre pensato (le hanno lasciato credere) che quella nella foto fosse lei e invece no. Ha sempre pensato di essere figlia unica e invece no. Di colpo è la seconda ignara, la diversa, la meno amata, o amata di riserva, tenuta in panchina come sostituta, e poi la ribelle, quella più distante dal cielo. La figlia terrena, con lo stesso sangue ma più chiaro, un sangue venuto dopo. Tutto taciuto, tutto nascosto, perfino le visite al cimitero. Ernaux intraprende una battaglia, con i genitori e con la sorella morta. Una battaglia fatta di rimpianti, di amore mancato o non capito, amore rimbalzato, amore capitato. Una battaglia fatta anche di nostalgia, di mancate condivisioni, di un affetto a levare, come un battito che stona, come tutte le cose che si sentono e non si comprendono. Una battaglia che dura tutta la vita, che non si risolve se non con questa lettera che deve essere costata a Ernaux molta fatica, questa lettera di cui la stessa autrice fino in fondo ignora il vero significato. Di sicuro è questa una lettera bellissima che commuove e scava dentro ogni lettore, mostrando cose visibili che non avevamo scorto; una lettera che ci porta davanti a una tomba, a tutte le tombe davanti alle quali non abbiamo niente da dire, spesso per amore, spesso perché così vanno le cose. Ci sono libri belli e sono tanti, e poi ci sono libri e scrittori in grado di incidere nei pensieri, nelle sensazioni, negli stati d’animo di chi legge; Ernaux e i suoi romanzi fanno questo, non ho dubbi. Mi permetto di ringraziare, prima di chiudere, Lorenzo Flabbi che ha tradotto i romanzi di Annie Ernaux fin qui pubblicati in Italia, capisco leggendo che è stato fatto un lavoro straordinario, me ne accorgo da non conoscitore del francese, se questi libri suonano anche in italiano c’è un perché, il segreto è il traduttore.
"Forse ho voluto saldare un debito immaginario dandoti a mia volta l’esistenza che la tua morte mi ha dato."
Ernaux ha scelto la lontananza dalla famiglia, il distacco, che non vuol dire mancanza d’amore, ma vuol dire la giusta distanza; ha scelto la vita come tentativo di comprensione, ha scelto di scriverlo e ha fatto bene.
Gianni Montieri (poeta e critico, in collaborazione con Poetarum Silva)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 3 ottobre 2016
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