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Invidia il prossimo tuo

Che cosa può nascondersi sotto la superficie lucida e liscia di una amicizia? Due ragazzi che hanno condiviso passioni e paure, affrontando insieme le tante difficoltà dell’ingresso nella vita adulta, possono ancora dirsi veramente “amici”, quando le loro strade si sono divise al punto da condurli ai due estremi della scala sociale? Se l’invidia avvelena i rapporti tra le persone, quanto spazio rimane all’amicizia?

Queste le domande che continuano a ronzarci in testa, dopo aver letto il romanzo di John Niven Invidia il prossimo tuo, pubblicato da Einaudi con l’efficace traduzione di Marco Rossari: una storia dai toni caustici e disincantati, come ormai lo scrittore scozzese ci ha abituato a leggere, in cui le buone azioni sono decisamente da evitare, come ci suggerisce l’icastico titolo originale (“No good deed”).

Alan è un critico gastronomico affermato, con all’attivo vari libri di successo, parecchie comparsate in televisione e una seguita rubrica tematica sulla carta stampata; ma la sua fortuna principale è stata quella di sposare Katie, la rampolla di una aristocraticissima famiglia scozzese, che gli ha permesso di vivere in una super-villa e metter su una super-famiglia, con tanto di tre figli da mandare alle scuole private.

La sua esistenza almeno in apparenza felice viene sconvolta dall’incontro fortuito con un suo vecchio compagno d’università, Craig, che in gioventù ha raggiunto una notevole notorietà come musicista rock, ma che oggi è ridotto a vivere per strada, senza più un soldo in tasca. Nel barbone davanti a lui Alan ritrova – tutto intero – l’amico da ammirare e da imitare: quello a cui, suo malgrado, doveva riconoscere una marcia in più su tutto rispetto a lui: sulla musica, sulle donne, sulla felicità. Alan decide d’istinto di ospitare Craig a casa, lo riveste con i propri abiti vecchi, gli presta del denaro perché possa risalire la china in cui è caduto e si ricostruisca una vita. Craig accetta l’aiuto del vecchio compagno di avventure, grazie al quale riesce anche a recuperare una somma cospicua per i diritti d’autore delle canzoni da lui composte anni addietro.

Una storia di uscita dagli inferi che avrebbe potuto finire qui, con un bel lieto fine che fa bene al cuore, se l’invidia non ci avesse messo lo zampino: quella violenta di Craig, che tenta di distruggere ciò che Alan ha costruito e ricevuto in sorte, ritenendo che la fortuna lo abbia ingiustamente premiato rispetto alla mediocrità dei suoi talenti; quella più subdola di Alan, che gode nell’intimo per essere riuscito a distaccare di varie lunghezze l’amico che lo ha fatto sempre sentire inferiore. E che con un sorrisetto al momento giusto riesce ancora oggi a metterlo in scacco, nonostante la villa, le parentele illustri, il portafoglio pieno: “Da qualche parte in cuor suo Alan sapeva che tutti i soldi e la fama immaginabili non potranno mai riprogrammare il modo in cui ci siamo definiti da ragazzi. Il successo non mitiga quella parte di te. Nemmeno i primi cinque minuti in cui entri a una festa e non conosci nessuno. Alan, sconfortato, si rendeva conto che Craig avrebbe sempre goduto di quel potere su di lui”.

Nel gioco crudele di chi sale e scende nella scala sociale, la generosità si tinge di autocompiacimento e di vendetta, mentre la gratitudine si avvelena con l’invidia: gli esseri umani non sono capaci di buoni sentimenti, e John Niven sa benissimo come si fa a narrarlo.

 

Maria Stella (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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