Il violento mestiere di scrivere
Se "Operazione Massacro" di Rodolfo Walsh è un libro imprescindibile del Novecento, il percorso umano, giornalistico e politico di Walsh a partire dai fatti che gli cambiarono la vita è ben rappresentato da un altrettanto imperdibile volume pubblicato da La Nuova Frontiera: "Il violento mestiere di scrivere". La traiettoria della rassegna qui selezionata disegna l’intero arco dell’impegno walshiano, dal primo articolo dedicato al massacro di José León Suárez ("Anche io sono stato fucilato", del gennaio 1957, una sorta di incunabolo del libro maggiore), fino alla riproposizione della "Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare".
Troviamo qui il Rodolfo Walsh politico: impegnato a Cuba nella fondazione della agenzia di stampa antimperialista Prensa Latina; testimone allo stesso tempo toccante e lucido del trionfo di Castro e della morte di Che Guevara; enigmista capace di decrittare un cablogramma proveniente dal Guatemala che annunciava l’invasione della Baia dei Porci e altri che mettevano limpidamente in luce l’attività anticubana portata avanti dagli Stati Uniti in America Latina, con la complicità di alcuni governi. Troviamo anche, di nuovo, l’indagatore e denunciatore dei soprusi del regime argentino e della sua polizia, soprattutto nei pezzi dedicati ai metodi di tortura adottati dalla Banda della Picana (la picana è un pungolo elettrico usato per controllare il bestiame).
La storia di Victor Liway è sostanzialmente identica. Mentre lo torturavano con la picana, gli hanno chiesto della rapina alla macelleria e a diverse stazioni di servizio.
“Diventane autore.”
Victor Liway è diventato autore: non sopportava il dolore. Ha detto anche di aver utilizzato la sua auto per le rapine.A calci e pugni l’hanno infilato in un furgoncino grigio e l’hanno portato a casa sua per recuperare i soldi. Non hanno trovato niente, sono usciti furenti. Nel viaggio di ritorno le botte si sono moltiplicate. L’hanno legato alla gogna, che resuscita dopo un secolo per la gloria della “rivoluzione argentina”.
Troviamo infine lo scrittore capace come pochi di raccontare l’esistenza nei luoghi dimenticati da Dio con le loro magie e le loro difficoltà; uno scrittore di una sensibilità fuori dal comune nel raccontare con afflato epico eppure leggero le vicende quotidiane degli ultimi della terra. Magnifici in tal senso due dei racconti centrali del volume "L’isola dei resuscitati" e "L’espresso della siesta": due reportage rispettivamente dal lebbrosario dell’Isola del Cerrito ("nella foresta di Chaco, dove le scimmie urlavano come il vento e le vipere osservavano da vicino una grande impresa”) e da un viaggio sulla linea ferroviaria che unisce Corrientes a Mburucuyá, 178 chilometri a bordo “del treno più piccolo, più lento, più esasperante e più divertente del mondo”. Due pezzi che costituiscono anche l’occasione per celebrare la grande prova di Stefania Marinoni, traduttrice capace di fornire alcuni esempi davvero virtuosi di immersione nell’impasto anche linguistico di Walsh, per esempio nell’articolo sul lebbrosario, dove le voci del coro degli appestati, un vero mondo rovesciato, vengono restituite ognuna con un proprio colore, una propria forza, una propria direzione dello sguardo, una propria angoscia, facendoci percepire tutta la sensibilità dell’autore.
E un’altra volta mi dice il direttore:
“Ma lei, don Vallejo, deve avere una proprietà.”
E gli dico io:
“No niente, signore, niente, completamente niente.”
E per questo, certo, vivo qui tranquillo e non disturbo, e a volte nessuno, non mi parla e io a nessuno. Per me è tutto uguale, signore, ma se qualcuno viene e mi chiede una mano, gliela do, perché per me è tutto fratellanza e io tutta la vita dico a loro che tanto vale essere parente di tutto quello che è qui in questo posto ma loro non mi credono, ognuno ha i suoi capricci e ci sono molti rivali per il vino e le donne. E così io resto qui solo e basta, ed è beeello signore il mio orto…
Anche in questo caso, come in quello di Operazione massacro, ci meraviglia la capacità di Walsh di mettere la sua tecnica al servizio di uno sguardo così profondamente umano, di allestire macchine narrative che dalla crudezza della cronaca alla liricità del sogno sanno sempre a cosa attingere per comporre pagine capaci di scavare nel profondo delle vicende umane fino a farci sentire il cuore delle vittime di queste vicende battere nel nostro petto, le loro ferite bruciare sulle nostre membra e percepire di fronte alla vicenda umana di questo grande uomo e grande scrittore quella stessa sensazione che lui stesso racconta di provare all’inizio dell’articolo sulla morte di Che Guevara:
La nostalgia si traduce in un rosario di morti e mi vergogno un po’ a stare qui seduto davanti alla macchina da scrivere, pur sapendo che anche questo è una sorta di destino, come se ci si potesse consolare all’idea che sia un destino utile a qualcosa.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
Il libro è stato promosso nell'ambito del progetto Bibliodiversità della Biblioteca San Giorgio
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Ultimo aggiornamento sabato, 25 novembre 2017
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Se "Operazione Massacro" di Rodolfo Walsh è un libro imprescindibile del Novecento, il percorso umano, giornalistico e politico di Walsh a partire dai fatti che gli cambiarono la vita è ben rappresentato da un altrettanto imperdibile volume pubblicato da La Nuova Frontiera: "Il violento mestiere di scrivere". La traiettoria della rassegna qui selezionata disegna l’intero arco dell’impegno walshiano, dal primo articolo dedicato al massacro di José León Suárez ("Anche io sono stato fucilato", del gennaio 1957, una sorta di incunabolo del libro maggiore), fino alla riproposizione della "Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare".
Troviamo qui il Rodolfo Walsh politico: impegnato a Cuba nella fondazione della agenzia di stampa antimperialista Prensa Latina; testimone allo stesso tempo toccante e lucido del trionfo di Castro e della morte di Che Guevara; enigmista capace di decrittare un cablogramma proveniente dal Guatemala che annunciava l’invasione della Baia dei Porci e altri che mettevano limpidamente in luce l’attività anticubana portata avanti dagli Stati Uniti in America Latina, con la complicità di alcuni governi. Troviamo anche, di nuovo, l’indagatore e denunciatore dei soprusi del regime argentino e della sua polizia, soprattutto nei pezzi dedicati ai metodi di tortura adottati dalla Banda della Picana (la picana è un pungolo elettrico usato per controllare il bestiame).
La storia di Victor Liway è sostanzialmente identica. Mentre lo torturavano con la picana, gli hanno chiesto della rapina alla macelleria e a diverse stazioni di servizio.
“Diventane autore.”
Victor Liway è diventato autore: non sopportava il dolore. Ha detto anche di aver utilizzato la sua auto per le rapine.A calci e pugni l’hanno infilato in un furgoncino grigio e l’hanno portato a casa sua per recuperare i soldi. Non hanno trovato niente, sono usciti furenti. Nel viaggio di ritorno le botte si sono moltiplicate. L’hanno legato alla gogna, che resuscita dopo un secolo per la gloria della “rivoluzione argentina”.
Troviamo infine lo scrittore capace come pochi di raccontare l’esistenza nei luoghi dimenticati da Dio con le loro magie e le loro difficoltà; uno scrittore di una sensibilità fuori dal comune nel raccontare con afflato epico eppure leggero le vicende quotidiane degli ultimi della terra. Magnifici in tal senso due dei racconti centrali del volume "L’isola dei resuscitati" e "L’espresso della siesta": due reportage rispettivamente dal lebbrosario dell’Isola del Cerrito ("nella foresta di Chaco, dove le scimmie urlavano come il vento e le vipere osservavano da vicino una grande impresa”) e da un viaggio sulla linea ferroviaria che unisce Corrientes a Mburucuyá, 178 chilometri a bordo “del treno più piccolo, più lento, più esasperante e più divertente del mondo”. Due pezzi che costituiscono anche l’occasione per celebrare la grande prova di Stefania Marinoni, traduttrice capace di fornire alcuni esempi davvero virtuosi di immersione nell’impasto anche linguistico di Walsh, per esempio nell’articolo sul lebbrosario, dove le voci del coro degli appestati, un vero mondo rovesciato, vengono restituite ognuna con un proprio colore, una propria forza, una propria direzione dello sguardo, una propria angoscia, facendoci percepire tutta la sensibilità dell’autore.
E un’altra volta mi dice il direttore:
“Ma lei, don Vallejo, deve avere una proprietà.”
E gli dico io:
“No niente, signore, niente, completamente niente.”
E per questo, certo, vivo qui tranquillo e non disturbo, e a volte nessuno, non mi parla e io a nessuno. Per me è tutto uguale, signore, ma se qualcuno viene e mi chiede una mano, gliela do, perché per me è tutto fratellanza e io tutta la vita dico a loro che tanto vale essere parente di tutto quello che è qui in questo posto ma loro non mi credono, ognuno ha i suoi capricci e ci sono molti rivali per il vino e le donne. E così io resto qui solo e basta, ed è beeello signore il mio orto…
Anche in questo caso, come in quello di Operazione massacro, ci meraviglia la capacità di Walsh di mettere la sua tecnica al servizio di uno sguardo così profondamente umano, di allestire macchine narrative che dalla crudezza della cronaca alla liricità del sogno sanno sempre a cosa attingere per comporre pagine capaci di scavare nel profondo delle vicende umane fino a farci sentire il cuore delle vittime di queste vicende battere nel nostro petto, le loro ferite bruciare sulle nostre membra e percepire di fronte alla vicenda umana di questo grande uomo e grande scrittore quella stessa sensazione che lui stesso racconta di provare all’inizio dell’articolo sulla morte di Che Guevara:
La nostalgia si traduce in un rosario di morti e mi vergogno un po’ a stare qui seduto davanti alla macchina da scrivere, pur sapendo che anche questo è una sorta di destino, come se ci si potesse consolare all’idea che sia un destino utile a qualcosa.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
Il libro è stato promosso nell'ambito del progetto Bibliodiversità della Biblioteca San Giorgio
- Ultimo aggiornamento sabato, 25 novembre 2017
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