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Il veliero sul tetto

 

In una Trieste solcata dai venti di bora, bagnata da un mare scintillante, resa spettrale dal silenzio innaturale del lockdown, lo scrittore triestino Paolo Rumiz, la cui anima vagabonda difficilmente si ferma, trova il modo di viaggiare pur rimanendo a casa. Anzi, sopra casa. Attraverso una botola pressoché inutilizzata, lo scrittore si avventura, all'alba delle mattine fresche di primavera, sul tetto che gli pare un veliero proteso in direzione del mare, verso uno dei tanti viaggi che gli sono indispensabili per capire come va il mondo. Ad ogni ora del giorno e della notte Rumiz raccoglie i suoi pensieri e le sue riflessioni: la parte invisibile di noi, quando si trova in costrizione, riesce a inventare possibili e mai percorse vie di fuga. Questo Rumiz lo fa attraverso la scrittura di un diario che prende ora le forme di un libro, in cui il linguaggio diviene metalanguaggio e la scrittura permette di incrociare immagini a stati d'animi, silenti o espressi. Da grande scrittore e viaggiatore qual è, Rumiz ha colto l'occasione della quarantena come pretesto e l'ha resa, al solito, Letteratura.

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