Il treno dei bambini
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando c’erano ancora le macerie da ripulire e le città da ricostruire, il Partito Comunista Italiano organizzò una imponente iniziativa di solidarietà tra famiglie del sud e del nord Italia, che prevedeva di trasferire in Emilia Romagna ed altre regioni del nord per un intero anno scolastico i bambini delle famiglie meridionali più povere, che facevano i conti con la fame e avrebbero trovato sollievo nell’avere una bocca in meno da alimentare. D’altro canto, i bambini affidati ai nuovi genitori avrebbero avuto l’opportunità straordinaria di trascorrere un anno in un ambiente più progredito, dove avrebbero ricevuto tutte le cure mediche del caso, cibo buono e una istruzione di ottimo livello, prima di fare ritorno alle proprie case.
Il libro di Viola Ardone ricostruisce in forma narrativa questa vicenda realmente accaduta, ma ai più ignota, narrandola attraverso lo sguardo furbo e indagatore di Amerigo Speranza, uno scugnizzo napoletano di 8 anni che ha fatto pochi giorni di scuola ma ha imparato un sacco di cose dalla vita di strada, al punto che tutti lo chiamano “Nobèl”.
Nel suo quartiere c’è chi sparge la voce che i bambini saranno mandati in Russia e mangiati dai comunisti, chi invece – come la sua mamma – raggiunge la sede del PCI per iscriverlo al treno che deve partire. Qui il piccolo scopre, suo malgrado, che i comunisti non vanno d’accordo tra loro (“Scusate, ma non state d’accordo tra voi qua sopra?”), ma sono divisi in correnti: una cosa davvero preoccupante per lui, visto che le correnti fanno venire le malattie, e chi si ammala non potrà partire.
Ma il treno dei bambini parte davvero, tra pianti sconsolati e grandi speranze: Amerigo si ritrova a Modena, dove scopre la nebbia, la mortadella e il formaggio gorgonzola che puzza di piedi. A casa della compagna Derna vive un’esperienza indimenticabile, indossando finalmente scarpe e vestiti nuovi, con cibo a volontà e una scuola dove impara ad usare correttamente le parole, che servono “a non farsi imbrogliare da quelli che le conoscono”.
Mentre il tempo passa e la sua vita si trasforma, Amerigo si pone il problema del ritorno: certo, la mamma gli manca, così come prova nostalgia per la vita nel basso, ma a Modena si è trovato tante cose da fare, e lasciare Derna da sola è un vero problema per lui: “E poi, prima di andare via, devo aiutare Derna a organizzare il comunismo, che lei da sola si stanca”.
Passato l’anno, qualche bambino non lascerà l’Emilia, preferendo la nuova vita a quella vecchia; molti invece faranno ritorno a casa, mantenendo addirittura per anni positivi contatti con la famiglia dell’alta Italia (come allora si diceva). Per tutti i bambini niente però sarà più come prima del treno: piccole biografie spezzate in due, in molti – Amerigo compreso – si sentiranno fuori posto in entrambe le vite.
Un libro coinvolgente e appassionante, sapientemente scritto dall’autrice dal punto di vista dei bambini, e perciò ricco di espressioni dialettali e considerazioni pragmatiche che strappano più di un sorriso.
Maria Stella (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
-
Ultimo aggiornamento lunedì, 6 aprile 2020
Subito dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando c’erano ancora le macerie da ripulire e le città da ricostruire, il Partito Comunista Italiano organizzò una imponente iniziativa di solidarietà tra famiglie del sud e del nord Italia, che prevedeva di trasferire in Emilia Romagna ed altre regioni del nord per un intero anno scolastico i bambini delle famiglie meridionali più povere, che facevano i conti con la fame e avrebbero trovato sollievo nell’avere una bocca in meno da alimentare. D’altro canto, i bambini affidati ai nuovi genitori avrebbero avuto l’opportunità straordinaria di trascorrere un anno in un ambiente più progredito, dove avrebbero ricevuto tutte le cure mediche del caso, cibo buono e una istruzione di ottimo livello, prima di fare ritorno alle proprie case.
Il libro di Viola Ardone ricostruisce in forma narrativa questa vicenda realmente accaduta, ma ai più ignota, narrandola attraverso lo sguardo furbo e indagatore di Amerigo Speranza, uno scugnizzo napoletano di 8 anni che ha fatto pochi giorni di scuola ma ha imparato un sacco di cose dalla vita di strada, al punto che tutti lo chiamano “Nobèl”.
Nel suo quartiere c’è chi sparge la voce che i bambini saranno mandati in Russia e mangiati dai comunisti, chi invece – come la sua mamma – raggiunge la sede del PCI per iscriverlo al treno che deve partire. Qui il piccolo scopre, suo malgrado, che i comunisti non vanno d’accordo tra loro (“Scusate, ma non state d’accordo tra voi qua sopra?”), ma sono divisi in correnti: una cosa davvero preoccupante per lui, visto che le correnti fanno venire le malattie, e chi si ammala non potrà partire.
Ma il treno dei bambini parte davvero, tra pianti sconsolati e grandi speranze: Amerigo si ritrova a Modena, dove scopre la nebbia, la mortadella e il formaggio gorgonzola che puzza di piedi. A casa della compagna Derna vive un’esperienza indimenticabile, indossando finalmente scarpe e vestiti nuovi, con cibo a volontà e una scuola dove impara ad usare correttamente le parole, che servono “a non farsi imbrogliare da quelli che le conoscono”.
Mentre il tempo passa e la sua vita si trasforma, Amerigo si pone il problema del ritorno: certo, la mamma gli manca, così come prova nostalgia per la vita nel basso, ma a Modena si è trovato tante cose da fare, e lasciare Derna da sola è un vero problema per lui: “E poi, prima di andare via, devo aiutare Derna a organizzare il comunismo, che lei da sola si stanca”.
Passato l’anno, qualche bambino non lascerà l’Emilia, preferendo la nuova vita a quella vecchia; molti invece faranno ritorno a casa, mantenendo addirittura per anni positivi contatti con la famiglia dell’alta Italia (come allora si diceva). Per tutti i bambini niente però sarà più come prima del treno: piccole biografie spezzate in due, in molti – Amerigo compreso – si sentiranno fuori posto in entrambe le vite.
Un libro coinvolgente e appassionante, sapientemente scritto dall’autrice dal punto di vista dei bambini, e perciò ricco di espressioni dialettali e considerazioni pragmatiche che strappano più di un sorriso.
Maria Stella (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 6 aprile 2020