Il tempo migliore della nostra vita
Il tempo migliore della nostra vita, finalista al Premio Campiello 2015 e vincitore del premio Viareggio, scritto da Antonio Scurati, autore pluripremiato (si è già aggiudicato un Premio Fregene, un Chianciano, un Campiello, un SuperMondello ed è stato finalista allo Strega), racconta da un’angolazione storica, tutta particolare, il periodo della Resistenza. Il libro prende spunto da un episodio realmente accaduto e ancora oggi denso di significati: siamo nel 1943, quando Leone Ginzburg, giovane professore ordinario di Letteratura russa all’Università di Torino, si rifiuta di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista. “Illustre professore, ricevo la circolare del Magnifico Rettore, in data 3 gennaio, che mi invita a prestare giuramento. Ho rinunciato da un certo tempo a percorrere la carriera universitaria, e desidero che al mio disinteressato insegnamento non siano poste condizioni, se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare giuramento”.
L’obbligo per i professori universitari di giurare fedeltà al fascismo è in vigore da due anni e quattro mesi: è stato decretato nell’agosto del 1931 su suggerimento del ministro per l’Educazione nazionale, il filosofo Balbino Giuliano, imposto per la prima volta nell’ottobre di quello stesso anno e poi esteso anche ai liberi docenti nell’estate del 1933. Chi si fosse rifiutato di giurare avrebbe perso la cattedra. Senza pensione, nessun indennizzo, condannato all’isolamento. Solo 13 professori, su circa 1.300, ebbero la forza di opporsi al regime; Leone, considerato uno degli uomini migliori della sua generazione da maestri e coetanei, da Benedetto Croce come dai suoi compagni di scuola (Norberto Bobbio, Massimo Mila ecc.) che lo definirono ''la testa forte del gruppo'', fu il più giovane ad esprimere il proprio dissenso, denunciando la follia degli anni in corso. Dicendo “no” ai giorni del presente, il giovane professore si rivolge al futuro, perché primo di una nuova generazione, quella stessa generazione alla quale facevano parte Cesare Pavese (detto “Cesarito”) e Giulio Einaudi, compagni di scuola di Leone al liceo Massimo D’Azeglio di Torino, con i quali Ginzburg fondò nel ’33 “una delle più grandi imprese di cultura del Novecento”, la Casa Editrice Einaudi. Il principale lavoro di Ginzburg, che appariva pubblicato sempre sotto falso nome, era quello di tradurre romanzi (di letteratura russa e inglese) con profonda acribia e rigore metodologico: l’intento era quello di consegnare ai suoi lettori una resa letteraria limpida, fondata sulla qualità e sul rispetto del testo originale. L’attività viene però bruscamente interrotta (anche se successivamente sarà ripresa a pieno titolo) nel 1935, quando Leone viene arrestato per propaganda antifascista e per appartenenza “alla setta di Giustizia e Libertà”: proprio dal carcere di Civitavecchia comincia la corrispondenza con la giovane Natalia, figlia del celebre scienziato Giuseppe Levi, autrice nota ai contemporanei per il celebre romanzo Lessico familiare che diverrà dopo pochi anni sua moglie e amata compagna. E proprio da una frase estratta da un racconto - Inverno in Abruzzo - della Ginzburg scritto nel 1944 alcune settimane dopo la tragica morte di Leone, che Scurati ha ricavato il titolo del romanzo: "Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so”. Natalia rievoca attraverso queste lucide e commuoventi parole i tre anni del confino sulle montagne di Pizzoli, in Abruzzo, con il marito e i figli, poco prima che Leone, nel febbraio del 1944, fosse nuovamente arrestato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, dove morì in seguito alle torture, perché si rifiutò di collaborare. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati rievoca la vita di Leone e Natalia Ginzburg scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni, nate a Napoli negli stessi anni e vissute sotto le bombe della seconda guerra mondiale. La vita degli avi dell’autore viene narrata accanto a quella di Leone, affinché si illumino a vicenda, perché per Scurati la memoria conservata in un racconto è l’unica forma di sopravvivenza: “La vita di un uomo comune, anonimo, insignificante davanti alla grande storia, può e, forse deve essere narrata accanto a quella gloriosa di Leone Ginzburg. Perché si illuminano a vicenda, la grandezza dell’uno nella modestia dell’altro e viceversa…Per tutti loro, uomini illustri e non illustri, la memoria conservata in un racconto è l’unica forma di sopravvivenza”.
Questo è il manifesto che Scurati ci regala fra le ultime pagine del suo bellissimo romanzo, racconto storico eppure dall’andamento romanzesco, che cattura l’attenzione del lettore costringendolo a riflettere sugli eventi del recente passato e sulle nostre origini.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento martedì, 22 dicembre 2015
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Il tempo migliore della nostra vita, finalista al Premio Campiello 2015 e vincitore del premio Viareggio, scritto da Antonio Scurati, autore pluripremiato (si è già aggiudicato un Premio Fregene, un Chianciano, un Campiello, un SuperMondello ed è stato finalista allo Strega), racconta da un’angolazione storica, tutta particolare, il periodo della Resistenza. Il libro prende spunto da un episodio realmente accaduto e ancora oggi denso di significati: siamo nel 1943, quando Leone Ginzburg, giovane professore ordinario di Letteratura russa all’Università di Torino, si rifiuta di firmare il giuramento di fedeltà al regime fascista. “Illustre professore, ricevo la circolare del Magnifico Rettore, in data 3 gennaio, che mi invita a prestare giuramento. Ho rinunciato da un certo tempo a percorrere la carriera universitaria, e desidero che al mio disinteressato insegnamento non siano poste condizioni, se non tecniche o scientifiche. Non intendo perciò prestare giuramento”.
L’obbligo per i professori universitari di giurare fedeltà al fascismo è in vigore da due anni e quattro mesi: è stato decretato nell’agosto del 1931 su suggerimento del ministro per l’Educazione nazionale, il filosofo Balbino Giuliano, imposto per la prima volta nell’ottobre di quello stesso anno e poi esteso anche ai liberi docenti nell’estate del 1933. Chi si fosse rifiutato di giurare avrebbe perso la cattedra. Senza pensione, nessun indennizzo, condannato all’isolamento. Solo 13 professori, su circa 1.300, ebbero la forza di opporsi al regime; Leone, considerato uno degli uomini migliori della sua generazione da maestri e coetanei, da Benedetto Croce come dai suoi compagni di scuola (Norberto Bobbio, Massimo Mila ecc.) che lo definirono ''la testa forte del gruppo'', fu il più giovane ad esprimere il proprio dissenso, denunciando la follia degli anni in corso. Dicendo “no” ai giorni del presente, il giovane professore si rivolge al futuro, perché primo di una nuova generazione, quella stessa generazione alla quale facevano parte Cesare Pavese (detto “Cesarito”) e Giulio Einaudi, compagni di scuola di Leone al liceo Massimo D’Azeglio di Torino, con i quali Ginzburg fondò nel ’33 “una delle più grandi imprese di cultura del Novecento”, la Casa Editrice Einaudi. Il principale lavoro di Ginzburg, che appariva pubblicato sempre sotto falso nome, era quello di tradurre romanzi (di letteratura russa e inglese) con profonda acribia e rigore metodologico: l’intento era quello di consegnare ai suoi lettori una resa letteraria limpida, fondata sulla qualità e sul rispetto del testo originale. L’attività viene però bruscamente interrotta (anche se successivamente sarà ripresa a pieno titolo) nel 1935, quando Leone viene arrestato per propaganda antifascista e per appartenenza “alla setta di Giustizia e Libertà”: proprio dal carcere di Civitavecchia comincia la corrispondenza con la giovane Natalia, figlia del celebre scienziato Giuseppe Levi, autrice nota ai contemporanei per il celebre romanzo Lessico familiare che diverrà dopo pochi anni sua moglie e amata compagna. E proprio da una frase estratta da un racconto - Inverno in Abruzzo - della Ginzburg scritto nel 1944 alcune settimane dopo la tragica morte di Leone, che Scurati ha ricavato il titolo del romanzo: "Allora io avevo fede in un avvenire facile e lieto, ricco di desideri appagati, di esperienze e di comuni imprese. Ma era quello il tempo migliore della mia vita e solo adesso che m’è sfuggito per sempre, solo adesso lo so”. Natalia rievoca attraverso queste lucide e commuoventi parole i tre anni del confino sulle montagne di Pizzoli, in Abruzzo, con il marito e i figli, poco prima che Leone, nel febbraio del 1944, fosse nuovamente arrestato dai tedeschi e rinchiuso a Regina Coeli, dove morì in seguito alle torture, perché si rifiutò di collaborare. Nel racconto rigoroso e appassionato con il quale Scurati rievoca la vita di Leone e Natalia Ginzburg scorrono però anche le vite di Antonio e Peppino, Ida e Angela, i nonni dell’autore, persone comuni, nate a Napoli negli stessi anni e vissute sotto le bombe della seconda guerra mondiale. La vita degli avi dell’autore viene narrata accanto a quella di Leone, affinché si illumino a vicenda, perché per Scurati la memoria conservata in un racconto è l’unica forma di sopravvivenza: “La vita di un uomo comune, anonimo, insignificante davanti alla grande storia, può e, forse deve essere narrata accanto a quella gloriosa di Leone Ginzburg. Perché si illuminano a vicenda, la grandezza dell’uno nella modestia dell’altro e viceversa…Per tutti loro, uomini illustri e non illustri, la memoria conservata in un racconto è l’unica forma di sopravvivenza”.
Questo è il manifesto che Scurati ci regala fra le ultime pagine del suo bellissimo romanzo, racconto storico eppure dall’andamento romanzesco, che cattura l’attenzione del lettore costringendolo a riflettere sugli eventi del recente passato e sulle nostre origini.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento martedì, 22 dicembre 2015
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