Il ragazzo morto e le comete
Di tutti i meriti letterari che si possono ascrivere all’eclettico Neri Pozza, grande protagonista della cultura veneta del dopoguerra, uno dei maggiori è stato sicuramente il coraggio con cui ha condotto la sua casa editrice, pubblicando opere grandi ed anomale che forse non avrebbero visto la luce senza di lui. Il suo regalo più grande è stato, probabilmente, quello di averci donato dal nulla uno scrittore tra i più indipendenti, poetici, innovativi della letteratura italiana del dopoguerra quando, nel 1950, prese in considerazione la proposta di pubblicazione giuntagli da un ventenne assolutamente sconosciuto e fin troppo spavaldo, dando alle stampe Il ragazzo morto e le comete.
Il testo di Parise era quanto di più “fuori tempo” si potesse immaginare nell’Italia letteraria degli anni Cinquanta, dominata dalle esigenze sia tematiche sia stilistiche del cosiddetto neorealismo: l’antifascismo, l’impegno politico, le tematiche sociali, la narrazione piana, una lingua oscillante tra la neutralità e il localismo, un’ideologia di fondo di stampo populista, l’inclinazione dell’opera d’arte a farsi documento, ecc. "Il ragazzo morto e le comete", nonostante tematicamente potesse sembrare un figlio dei tempi (racconta di un gruppo di ragazzi che vagabondano tra le macerie della Vicenza del dopoguerra), era però un romanzo sconclusionato e surreale, in cui il protagonista – lo dice il titolo stesso – non esiste; è un morto, un buco intorno a cui si compie il girotondo di una serie di vicende e di personaggi anomali, portatori di comportamenti ai limiti dell’assurdo e agghindati in fogge stravaganti e demodé. Sono i vecchi amici del protagonista che non si arrendono alla sua scomparsa e continuano a cercarlo.
Il romanzo, scritto – come dirà poi Parise – "con l’animo con cui a quell’età si scrivono poesie", è pieno zeppo di riferimenti culturali e stilistici a un contesto ben più internazionale ed aggiornato di quello delle opere italiane coeve. Non sarà per puro orgoglio che Parise rifiuterà ogni proposta di correzione da parte di Neri Pozza, che si vide costretto a pubblicarlo (caso più unico che raro) accompagnato da una avvertenza in cui prendeva le distanze dalle "ingenue" scelte stilistiche dell’autore. La rappresentazione spazio-temporale è agli antipodi della linearità richiesta dal neorealismo letterario: lo sguardo che ci guida nel racconto divaga, si ferma ai margini della scena, gira intorno a qualcosa che non c’è, compie salti di spazio e di tempo. I personaggi appaiono e spariscono dalla scena come fantasmi. I morti parlano con i vivi. I vivi viaggiano nel cielo su misteriosi palloni aerostatici come protagonisti di favole esotiche su tappeti volanti. Gli animali - per esempio il barbagianni che vive in una cantina col costruttore di barche Squerloz - sono portatori di una densità simbolica perturbante. I ricordi sono deformati, eccessivi, debordanti, come in un quadro espressionista. Sembra di assistere a un "Germania Anno Zero" in cui siano saltati dentro all’improvviso a stravolgere e colorare tutto i personaggi più sognanti di un Fellini che però era ancora tutto da venire. Malinconia e immaginazione stringono un abbraccio inedito per l’epoca, come un documentario in bianco e nero sul dopoguerra in cui Chagall si sia divertito a sovraimprimere nel suo stile una vicenda parallela e alternativa, assolutamente onirica.
Il libro di Parise condivide con "Il sentiero dei nidi di ragno" di Calvino il merito di aver provato a tracciare una via di uscita verso i diktat stilistici del neorealismo, eppure il risultato fu opposto. Un’indifferenza pressoché generale accolse il libro di Parise (che divenne popolarissimo soltanto con "Il prete bello", normalizzando il suo “cubismo” originario), mentre il primo romanzo di Calvino divenne in breve quasi un emblema della nuova letteratura italiana, grazie soprattutto all’intervento in extremis nella narrazione di una ragione politica ben più avvertita, quando invece Parise era, in questo sì, decisamente tanto ingenuo da credere solo alle ragioni dell’intelligenza, dell'ispirazione e della poesia. E così si è sempre mantenuto, se è vero che proprio in nome della poesia, una ventina d’anni, dopo tirò fuori dal cilindro i sorprendenti Sillabari, con un movimento analogo a quello degli anni Cinquanta, ovvero sempre in controtendenza rispetto alle parole d’ordine dell’epoca, ma stavolta – i tempi per fortuna cambiano – con maggior fortuna. Questo è stato Parise: uno scrittore troppo poco italiano come attitudine per essere riconosciuto profeta in patria e, forse, proprio per questo ancora oggi "Il ragazzo morto e le comete", pur essendo uno dei gioielli più meravigliosi della letteratura italiana del dopoguerra, va inserito nella scatola su cui è incollata l’etichetta “capolavori misconosciuti”.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 2 febbraio 2015
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Di tutti i meriti letterari che si possono ascrivere all’eclettico Neri Pozza, grande protagonista della cultura veneta del dopoguerra, uno dei maggiori è stato sicuramente il coraggio con cui ha condotto la sua casa editrice, pubblicando opere grandi ed anomale che forse non avrebbero visto la luce senza di lui. Il suo regalo più grande è stato, probabilmente, quello di averci donato dal nulla uno scrittore tra i più indipendenti, poetici, innovativi della letteratura italiana del dopoguerra quando, nel 1950, prese in considerazione la proposta di pubblicazione giuntagli da un ventenne assolutamente sconosciuto e fin troppo spavaldo, dando alle stampe Il ragazzo morto e le comete.
Il testo di Parise era quanto di più “fuori tempo” si potesse immaginare nell’Italia letteraria degli anni Cinquanta, dominata dalle esigenze sia tematiche sia stilistiche del cosiddetto neorealismo: l’antifascismo, l’impegno politico, le tematiche sociali, la narrazione piana, una lingua oscillante tra la neutralità e il localismo, un’ideologia di fondo di stampo populista, l’inclinazione dell’opera d’arte a farsi documento, ecc. "Il ragazzo morto e le comete", nonostante tematicamente potesse sembrare un figlio dei tempi (racconta di un gruppo di ragazzi che vagabondano tra le macerie della Vicenza del dopoguerra), era però un romanzo sconclusionato e surreale, in cui il protagonista – lo dice il titolo stesso – non esiste; è un morto, un buco intorno a cui si compie il girotondo di una serie di vicende e di personaggi anomali, portatori di comportamenti ai limiti dell’assurdo e agghindati in fogge stravaganti e demodé. Sono i vecchi amici del protagonista che non si arrendono alla sua scomparsa e continuano a cercarlo.
Il romanzo, scritto – come dirà poi Parise – "con l’animo con cui a quell’età si scrivono poesie", è pieno zeppo di riferimenti culturali e stilistici a un contesto ben più internazionale ed aggiornato di quello delle opere italiane coeve. Non sarà per puro orgoglio che Parise rifiuterà ogni proposta di correzione da parte di Neri Pozza, che si vide costretto a pubblicarlo (caso più unico che raro) accompagnato da una avvertenza in cui prendeva le distanze dalle "ingenue" scelte stilistiche dell’autore. La rappresentazione spazio-temporale è agli antipodi della linearità richiesta dal neorealismo letterario: lo sguardo che ci guida nel racconto divaga, si ferma ai margini della scena, gira intorno a qualcosa che non c’è, compie salti di spazio e di tempo. I personaggi appaiono e spariscono dalla scena come fantasmi. I morti parlano con i vivi. I vivi viaggiano nel cielo su misteriosi palloni aerostatici come protagonisti di favole esotiche su tappeti volanti. Gli animali - per esempio il barbagianni che vive in una cantina col costruttore di barche Squerloz - sono portatori di una densità simbolica perturbante. I ricordi sono deformati, eccessivi, debordanti, come in un quadro espressionista. Sembra di assistere a un "Germania Anno Zero" in cui siano saltati dentro all’improvviso a stravolgere e colorare tutto i personaggi più sognanti di un Fellini che però era ancora tutto da venire. Malinconia e immaginazione stringono un abbraccio inedito per l’epoca, come un documentario in bianco e nero sul dopoguerra in cui Chagall si sia divertito a sovraimprimere nel suo stile una vicenda parallela e alternativa, assolutamente onirica.
Il libro di Parise condivide con "Il sentiero dei nidi di ragno" di Calvino il merito di aver provato a tracciare una via di uscita verso i diktat stilistici del neorealismo, eppure il risultato fu opposto. Un’indifferenza pressoché generale accolse il libro di Parise (che divenne popolarissimo soltanto con "Il prete bello", normalizzando il suo “cubismo” originario), mentre il primo romanzo di Calvino divenne in breve quasi un emblema della nuova letteratura italiana, grazie soprattutto all’intervento in extremis nella narrazione di una ragione politica ben più avvertita, quando invece Parise era, in questo sì, decisamente tanto ingenuo da credere solo alle ragioni dell’intelligenza, dell'ispirazione e della poesia. E così si è sempre mantenuto, se è vero che proprio in nome della poesia, una ventina d’anni, dopo tirò fuori dal cilindro i sorprendenti Sillabari, con un movimento analogo a quello degli anni Cinquanta, ovvero sempre in controtendenza rispetto alle parole d’ordine dell’epoca, ma stavolta – i tempi per fortuna cambiano – con maggior fortuna. Questo è stato Parise: uno scrittore troppo poco italiano come attitudine per essere riconosciuto profeta in patria e, forse, proprio per questo ancora oggi "Il ragazzo morto e le comete", pur essendo uno dei gioielli più meravigliosi della letteratura italiana del dopoguerra, va inserito nella scatola su cui è incollata l’etichetta “capolavori misconosciuti”.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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