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Il grande innocente

 

Interroga il passato, esplora il presente e getta lo sguardo verso il futuro il terzo libro del poeta toscano Gabriel Del Sarto, che in Il grande innocente dimostra di aver tenuto viva negli anni che lo separano dai precedenti “I viali” (2003) e Sul vuoto (2011) una voce tra le più notevoli dei nostri anni.

Tre sono i perni di questo libro, articolato in sette movimenti poematici e un proemio: la sezione “Gli uffici”, incentrata sulle contraddizioni del presente, composizione per quadri di un racconto in versi ambientato nel mondo dell'imprenditoria contemporanea ; la sezione “Il grande innocente”, in cui il poeta racconta e scandaglia una tragedia nel cuore del passato della propria famiglia: la morte del nonno paterno Lino, partigiano, vittima di un agguato tedesco sulle Alpi Apuane; la sezione “I cardini”, in cui la tensione poetica è proiettata nel futuro sulle ali dei versi dedicati alla piccola figlia.

Le tre dimensioni temporali non possono che illuminarsi reciprocamente, in una interrogazione complessiva della propria vicenda biografica e del rapporto della vita di ognuno con la ciò che la contiene; una interrogazione leopardiana in cui alla Natura è progressivamente sostituita la Storia e che incarna il senso di tutta la poesia di Del Sarto sin dalle sue origini.

Da questo terzo libro emerge un sentimento complessivo della Storia come di una forza che acceca gli uomini, spadroneggia tra loro fino a ridurli a “partecipanti di un sistema chiuso, evocati /quasi per creare lo sfondo”. Eterodiretti anche in quella che appare la parte più nobile del loro agire, fino anche al gesto estremo di un sacrificio altruistico, oppure al contrario in una deriva di perdita di senso come quella della contemporaneità mediatica, pare proprio che gli uomini nulla abbiano da opporre alla forza della Storia, se non al massimo un tentativo di sottrarsi, di rifugiarsi nel cerchio magico del senso quotidiano, piccolo, minuto, nella vita degli affetti costruiti giorno dopo giorno. Il compito diviene allora proteggere la propria biografia.

Eppure questo stesso sentimento è nutrito di dubbi, interrogazioni ossessive, perfino sensi di colpa. Perché la poesia di Del Sarto ci mette di fronte agli occhi un uomo sempre e comunque nell'atto di fare una domanda o di esprimere una speranza, quasi mai un giudizio. A ogni acquisizione segue infatti nel suo movimento raziocinante e poetico una messa in discussione di ciò che si è acquisito, quasi a voler continuamente mettere alla prova i propri stessi fondamenti, per trovar loro un punto d'appoggio più forte delle spalle di un essere umano che si disegna semplice, quasi banale, sicuramente antieroico. Da qui la dialettica che si avverte ovunque nel libro tra sentimento e ragione, tra quel che si prova o si pensa e la sua distanza dagli imperativi categorici che risuonano dentro di noi, con la forza di generazioni che ne hanno forgiato la dignità, quando il dolore o la paura fanno invece inginocchiare il nostro coraggio.

Capace di dosare i pedali della narrazione, della raffigurazione icastica, della riflessione e della preghiera, con un notevole controllo ritmico dell'andamento della narrazione e dei finali, Del Sarto fa anche qualcosa che accade raramente con successo nella poesia contemporanea: rischia l'effetto pathos, innescandolo spesso senza retrogusti stucchevoli. Il tutto in una lingua corrente, sempre estremamente leggibile ma mai sciatta. Forse qualcosa deborda dalle sezioni, rendendo il libro meno perfetto, meno costruito ma forse proprio per questo più convincente nel risultare frutto di una vena poetica profonda, autentica, urgente, più forte di ogni disegno prestabilito.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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