Il dono di Antonia
"Il dono di Antonia" di Alessandra Sarchi
Scomponi la madre.
Toglile il corpo.
Le braccia in cui rifugiarti per essere stretta e compresa.
Dopo il bellissimo romanzo La notte ha la mia voce, vincitore del Premio Mondello 2017, Alessandra Sarchi torna a parlarci – attraverso una narrazione altrettanto generosa – di relazioni affettive, maternità e corpo delle donne.
Antonia, la protagonista del romanzo, è madre di Anna, una giovane ragazza che si rifiuta di mangiare, o meglio sceglie, controlla e pesa ogni singola caloria. Antonia non sa cosa pensare di sua figlia che, oltre al cibo, sembra voler rifiutare anche la ragionevole presenza. Di fronte alla “quasi anoressia” della figlia la protagonista riavvolge il filo del passato, quasi a voler cercare una colpa che lei stessa ha compiuto e ora si trova, per la legge del contrappasso, a dover espiare.
Antonia porta con sé un segreto che solo il marito Paolo conosce: si chiama Jessie, è un ragazzo californiano, nato ventisei anni prima, grazie a un dono di gameti. Già dal titolo e dalla copertina – un uovo dell’artista Adelaide Cioni – si evince che è stata Antonia a donare un ovocita a Myrtha, un’amica americana, per regalarle un figlio che altrimenti non sarebbe mai arrivato. Ma, subito dopo aver compiuto quell'azione Antonia non si sente all’altezza, ha paura e scappa: lascia gli Stati Uniti senza neppure salutare la sua amica e straccia tutte le lettere che in seguito Myrtha le invia.
Improvvisamente è costretta a fare i conti con quella presenza: quando Jessie scopre che sua madre ha un tumore al cervello, non esita a intraprendere un viaggio in Italia, a Bologna dove spera - e di fatto accade - di poter parlare con Antonia e rintracciare le sue radici.
Antonia sa di essere stata corpo per entrambi i suoi figli, sebbene in modo assai diverso. Ad Anna ha donato la vita, ma anche la sua costante e fissa presenza fisica: le nottate trascorse ad allattarla, i pomeriggi impegnati ad imparare le tabelline, l’attesa due pomeriggi a settimana all’uscita della piscina comunale; a Jessie ha donato un uovo che fin da piccolo vede rappresentato, inaccessibile e sospeso, sulla scrivania nel dipinto della pala di Brera di Piero della Francesca. "Che volete da me, vorrebbe dire a entrambi: a quel figlio che non è figlio e a quella figlia che non vuole esserlo; che volete ancora da chi vi ha dato la vita, e ora non è nemmeno più sicura che ne sia rimasta per sé, che sia avanzato un po’ di desiderio."
In queste espressive parole è circoscritta una delle possibili chiavi di lettura di questo potente romanzo, dedicato a chi ha paura di guardarsi dentro troppo a lungo. Il tema della genitorialità e in particolare della maternità incarna il dilemma esistenziale di fronte al quale ci troviamo oggi: cosa doniamo, quando doniamo la vita? Quanto si basa sulla genetica e sulla biologia e quanto sulla presenza, sulle cure e sulle attenzioni che una madre è in grado di fornire? La maternità diviene sì anche un esercizio di potere, ma la donna non è (e non può essere) solo madre.
Il disperato bisogno di parlare di sé che Antonia avverte, e che la spinge anche alla frequentazione di un gruppo di madri che ogni settimana si incontrano con una psicologa per parlare delle loro figlie adolescenti, è silenziato dal rumore della società contemporanea che spesso priva di fatto le donne di autonomia e indipendenza. Da qui, lo sforzo dell’autrice di allentare e ri-modellare il tema della maternità al corpo delle donne, ai suoi confini e ai desideri. La Sarchi con un suo linguaggio controllato, onirico, mai esacerbato da tinte forti, ma piuttosto scelto con garbo e cura, interroga, solleva dubbi, lasciando uno spiraglio di speranza in un prossimo futuro in cui ci sia uno spazio aperto più ampio in cui rivendicare per tutti il diritto di essere madri e figli.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 2 novembre 2020
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"Il dono di Antonia" di Alessandra Sarchi
Scomponi la madre.
Toglile il corpo.
Le braccia in cui rifugiarti per essere stretta e compresa.
Dopo il bellissimo romanzo La notte ha la mia voce, vincitore del Premio Mondello 2017, Alessandra Sarchi torna a parlarci – attraverso una narrazione altrettanto generosa – di relazioni affettive, maternità e corpo delle donne.
Antonia, la protagonista del romanzo, è madre di Anna, una giovane ragazza che si rifiuta di mangiare, o meglio sceglie, controlla e pesa ogni singola caloria. Antonia non sa cosa pensare di sua figlia che, oltre al cibo, sembra voler rifiutare anche la ragionevole presenza. Di fronte alla “quasi anoressia” della figlia la protagonista riavvolge il filo del passato, quasi a voler cercare una colpa che lei stessa ha compiuto e ora si trova, per la legge del contrappasso, a dover espiare.
Antonia porta con sé un segreto che solo il marito Paolo conosce: si chiama Jessie, è un ragazzo californiano, nato ventisei anni prima, grazie a un dono di gameti. Già dal titolo e dalla copertina – un uovo dell’artista Adelaide Cioni – si evince che è stata Antonia a donare un ovocita a Myrtha, un’amica americana, per regalarle un figlio che altrimenti non sarebbe mai arrivato. Ma, subito dopo aver compiuto quell'azione Antonia non si sente all’altezza, ha paura e scappa: lascia gli Stati Uniti senza neppure salutare la sua amica e straccia tutte le lettere che in seguito Myrtha le invia.
Improvvisamente è costretta a fare i conti con quella presenza: quando Jessie scopre che sua madre ha un tumore al cervello, non esita a intraprendere un viaggio in Italia, a Bologna dove spera - e di fatto accade - di poter parlare con Antonia e rintracciare le sue radici.
Antonia sa di essere stata corpo per entrambi i suoi figli, sebbene in modo assai diverso. Ad Anna ha donato la vita, ma anche la sua costante e fissa presenza fisica: le nottate trascorse ad allattarla, i pomeriggi impegnati ad imparare le tabelline, l’attesa due pomeriggi a settimana all’uscita della piscina comunale; a Jessie ha donato un uovo che fin da piccolo vede rappresentato, inaccessibile e sospeso, sulla scrivania nel dipinto della pala di Brera di Piero della Francesca. "Che volete da me, vorrebbe dire a entrambi: a quel figlio che non è figlio e a quella figlia che non vuole esserlo; che volete ancora da chi vi ha dato la vita, e ora non è nemmeno più sicura che ne sia rimasta per sé, che sia avanzato un po’ di desiderio."
In queste espressive parole è circoscritta una delle possibili chiavi di lettura di questo potente romanzo, dedicato a chi ha paura di guardarsi dentro troppo a lungo. Il tema della genitorialità e in particolare della maternità incarna il dilemma esistenziale di fronte al quale ci troviamo oggi: cosa doniamo, quando doniamo la vita? Quanto si basa sulla genetica e sulla biologia e quanto sulla presenza, sulle cure e sulle attenzioni che una madre è in grado di fornire? La maternità diviene sì anche un esercizio di potere, ma la donna non è (e non può essere) solo madre.
Il disperato bisogno di parlare di sé che Antonia avverte, e che la spinge anche alla frequentazione di un gruppo di madri che ogni settimana si incontrano con una psicologa per parlare delle loro figlie adolescenti, è silenziato dal rumore della società contemporanea che spesso priva di fatto le donne di autonomia e indipendenza. Da qui, lo sforzo dell’autrice di allentare e ri-modellare il tema della maternità al corpo delle donne, ai suoi confini e ai desideri. La Sarchi con un suo linguaggio controllato, onirico, mai esacerbato da tinte forti, ma piuttosto scelto con garbo e cura, interroga, solleva dubbi, lasciando uno spiraglio di speranza in un prossimo futuro in cui ci sia uno spazio aperto più ampio in cui rivendicare per tutti il diritto di essere madri e figli.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 2 novembre 2020
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