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I dispiaceri del vero poliziotto

 

Roberto Bolaño (1953-2003) iniziò a lavorare a I dispiaceri del vero poliziotto già negli anni Ottanta ma non licenziò mai la sua versione definitiva. Per questo quando è uscito postumo, nel 2011, non furono risparmiate critiche da coloro che vollero vedervi una pura speculazione commerciale.

Sono radunate nei “Dispiaceri”, tutte le caratteristiche e i temi del miglior Bolaño: i personaggi e i luoghi di 2666 (ma non solo), le fantasmagorie letterarie di La letteratura nazista in America (ma non solo), la moltiplicazione degli scenari di I detective selvaggi (ma non solo) , le enumerazioni e le classificazioni parossistiche (davvero epica quella dell'incipit, mutuata dai “Detective”: “Per Padilla, ricordava Amalfitano, la letteratura era eterosessuale, omosessuale e bisessuale. I romanzi, in genere, erano eterosessuali. La poesia, invece, era assolutamente omosessuale. Nel suo immenso oceano distingueva varie correnti: frocioni, froci, frocetti, checche, culi, finocchi, efebi e narcisi.”), i riferimenti malinconici e drammatici alla storia delle rivoluzioni sudamericane di Amuleto (ma non solo), l'affascinazione per le storie degli ultimi, dei perdenti e dei reietti che permea ogni suo libro ("Nell'adolescenza avrei voluto essere ebreo, bolscevico, negro, omosessuale, drogato e mezzo matto, e come se non bastasse monco, ma sono diventato un professore di letteratura. Meno male, pensava Amalfitano, che ho potuto leggere migliaia di libri"), infiniti tunnel, botole e passaggi più o meno segreti verso e da praticamente tutti i testi della bibliografia bolaniana.

Archiviate senza bisogno di una risposta certa le perplessità a cui accennavo all'inizio sul tipo di operazione editoriale e le due note al testo che si premurano di offrirgli risposte plausibili, anche filologiche, va detto dunque che “I dispiaceri” da una parte non delude i più affezionati lettori di Bolaño, anzi li conforta e contribuisce ad arricchire alcuni temi e tracce lasciati in sospeso negli altri libri, dall'altra può essere preso in considerazione anche come una perfetta prima porta di ingresso nell'opera del grandissimo autore cileno, che, via via che ci si addentra dentro di essa, assume sempre più l'aspetto di un unico grande libro labirintico e senza uscita, o forse con un numero infinito di uscite. Viene a tal proposito in mente la definizione che Thomas Bernhard dava del teatro, ma che potrebbe essere benissimo adattabile a una ipotetica definizione della narrativa bolaniana: “Il teatro è l'insieme di tutte le mancanze di via d'uscita”. Un labirinto di mancanze, in cui la vita e la letteratura sembrano a volte davvero la stessa cosa, come imparano gli allievi del professor Oscar Amalfitano, protagonista principale del libro:

"Capirono che un libro era un labirinto e un deserto. Che la cosa più importante del mondo era leggere e viaggiare, forse la stessa cosa, senza fermarsi mai. Che una volta letti gli scrittori uscivano dall'anima delle pietre, che era dove vivevano da morti, e si stabilivano nell'anima dei lettori come in una prigione morbida, ma che poi questa prigione si allargava o scoppiava. Che ogni sistema di scrittura è un tradimento. Che la vera poesia vive tra l'abisso e la sventura e che vicino a casa sua passa la strada maestra dei gesti gratuiti, dell'eleganza degli occhi e della sorte di Marcabruno. Che il principale insegnamento della letteratura era il coraggio, un coraggio strano, come un pozzo di pietra in mezzo a un paesaggio lacustre, un coraggio simile a un vortice e a uno specchio. Che leggere non era più comodo che scrivere. Che leggendo si imparava a dubitare e a ricordare. Che la memoria era l'amore."

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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