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Hashtag

 

Marino Niola, antropologo della contemporaneità che ha studiato gli usi e i costumi della nostra società – in particolare il rapporto tra cibo e cultura e le mutazioni del concetto di “mito” al giorno d’oggi – dedica il suo ultimo lavoro alla comunicazione digitale, in particolare alla rapida diffusione dei social network.

L’avvento degli hashtag - termine che deriva dall'inglese hash (cancelletto) e tag (etichetta) - ha dato il via ad una rivoluzione paragonabile – secondo Niola – all’impatto che ha avuto sugli uomini primitivi l’invenzione della scrittura; se il cancello, nel senso figurato e letterale del termine, è qualcosa che serve a chiudere, i cancelletti, invece, aprono un universo nuovo e senza confine, quello del web. Attraverso il loro utilizzo viene classificata la marea di informazioni che nel mondo moderno appare come un flusso ininterrotto: si parla dell’hashtag come di augmented word, in grado di collegare, categorizzare, classificare non solo parole e pensieri, ma anche emozioni e stati d’animo. Dal cogito ergo sum cartesiano si passa al digito ergo sum odierno: si parla, infatti, di un cambiamento epocale che tocca non solo i giovani, cosiddetti nativi digitali, ma anche le generazioni adulte che talvolta, per pigrizia mentale o analfabetismo informatico, non riescono a interagire con il mondo virtuale.

Quello che più colpisce – e a mio parere va apprezzato - del saggio di Niola è il saper cogliere in un’ottica moderata e ottimista gli effetti, positivi e non, che i social network hanno attuato nelle nostre vite. Quindi, da un lato, per fare un esempio, un beneficio che i social hanno promosso è stato quello di creare comunità virtuali accomunate da analoghe passioni o interessi, a partire da un semplice click; dall’altro, questo cambiamento nel modo di comunicare si è trascinato dietro qualche elemento negativo, soprattutto a livello linguistico: la rapidità con cui si scrive sui social porta molte più persone a compiere errori ortografici e ad esprimere un pensiero non organizzato ma “formattato” (e del resto se è necessario restare entro i 140 caratteri di Twitter, la riduzione a slogan diviene l’unico modo di esprimersi).

Taggare, postare, likare, followare, gogglare, instagrammare sono, quindi, i nuovi verbi ausiliari di un presente sempre connesso che, “alla stregua di un far-west”, cerca di darsi delle regole – anche linguistiche – ben definite. E basta davvero sfogliare questo libro per scoprire che ancora dettàmi categorici non ce ne sono e anzi i significati che noi attribuiamo ai termini (anche ai più comuni) sono molteplici e infiniti e mai univoci nel mondo della rete.

Tra le pagine del libro, si passa in rassegna le piccole e grandi idiosincrasie del nostro tempo, dal rapporto ambiguo con il cibo e il corpo, alle provocazioni della tecnologia e del marketing. mare la nostra esistenza”. Un valore aggiunto è anche il fatto di non costringere il suo fruitore a una lettura sequenziale, pagina dopo pagina, ma dona l’opportunità al lettore di crearsi un proprio percorso individuale (non necessariamente lineare) cercando le parole chiave che più lo incuriosiscono.

Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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