Grazie
Lo scrittore francese Daniel Pennac è autore di una fortunata serie di romanzi (la saga Malaussène) ambientati a Belleville (a nord-est di Parigi) che ruotano attorno a Benjamin, primogenito di una famiglia inverosimile e multietnica, composta da fratellastri e sorellastre molto particolari e di una madre sempre innamorata e incinta. Non c'è situazione o vicenda nei diversi romanzi che non si snodi da presupposti fantastici e paradossali, anche se questo non ha impedito alla scrittura di Pennac di portare alla luce contraddizioni e problemi sociali della società parigina.
Anche questo breve monologo affonda le sue radici nell'ironia, proponendo una situazione per certi versi al limite della realtà: siamo in un teatro, il palco è illuminato, un attore (ma potrebbe essere anche uno scrittore, un musicista) sta per ricevere un premio importante per la sua carriera lunga e importante. Il protagonista non può esimersi dal tenere un discorso di ringraziamento, ma, proprio qui cominciano i dilemmi: chi, come e perché ringraziare? L'autore premiato punta alla sincerità: abdica a quel rituale di formule stereotipate e predefinite per cercare invece di dire grazie in modo più personale. Un'ora, una terribile ora passa il protagonista di questa storia sul palco di quel teatro: il suo stato d'animo cambia dallo scoramento al furore e nel suo soliloquio pone una domanda centrale: "Che senso hanno i grazie in un mondo che storpia le emozioni in spettacolo?” La domanda è ostica e dissacrante ed è difficile dare una risposta. L'attore ripensa al suo passato e in fondo il suo “grazie” ha un retrogusto di amaro e di disprezzo, forse anche per aver dato di più rispetto a quello ottenuto.
Pennac dedica questo libro all’amico e collega bolognese Stefano Benni (scrittore, giornalista umorista) e un po’ a tutti i suoi lettori, in una sorta di inchino simbolico ironico, brillante ed esilarante. L'autore si sbizzarrisce a smontare tutte le convenzioni, i linguaggi e le leggi che presiedono il rito del ringraziamento, soffermandosi invece sull'uso di questo vocabolo, calato nella realtà odierna; una parola che a volte usiamo troppo poco, che viene data troppo spesso per scontata, che non sappiamo apprezzare fino in fondo. In queste poche pagine, però, Daniel Pennac, con la sua instancabile ironia, riesce a farci riflettere sul vero senso di questa espressione.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 25 settembre 2017
Lo scrittore francese Daniel Pennac è autore di una fortunata serie di romanzi (la saga Malaussène) ambientati a Belleville (a nord-est di Parigi) che ruotano attorno a Benjamin, primogenito di una famiglia inverosimile e multietnica, composta da fratellastri e sorellastre molto particolari e di una madre sempre innamorata e incinta. Non c'è situazione o vicenda nei diversi romanzi che non si snodi da presupposti fantastici e paradossali, anche se questo non ha impedito alla scrittura di Pennac di portare alla luce contraddizioni e problemi sociali della società parigina.
Anche questo breve monologo affonda le sue radici nell'ironia, proponendo una situazione per certi versi al limite della realtà: siamo in un teatro, il palco è illuminato, un attore (ma potrebbe essere anche uno scrittore, un musicista) sta per ricevere un premio importante per la sua carriera lunga e importante. Il protagonista non può esimersi dal tenere un discorso di ringraziamento, ma, proprio qui cominciano i dilemmi: chi, come e perché ringraziare? L'autore premiato punta alla sincerità: abdica a quel rituale di formule stereotipate e predefinite per cercare invece di dire grazie in modo più personale. Un'ora, una terribile ora passa il protagonista di questa storia sul palco di quel teatro: il suo stato d'animo cambia dallo scoramento al furore e nel suo soliloquio pone una domanda centrale: "Che senso hanno i grazie in un mondo che storpia le emozioni in spettacolo?” La domanda è ostica e dissacrante ed è difficile dare una risposta. L'attore ripensa al suo passato e in fondo il suo “grazie” ha un retrogusto di amaro e di disprezzo, forse anche per aver dato di più rispetto a quello ottenuto.
Pennac dedica questo libro all’amico e collega bolognese Stefano Benni (scrittore, giornalista umorista) e un po’ a tutti i suoi lettori, in una sorta di inchino simbolico ironico, brillante ed esilarante. L'autore si sbizzarrisce a smontare tutte le convenzioni, i linguaggi e le leggi che presiedono il rito del ringraziamento, soffermandosi invece sull'uso di questo vocabolo, calato nella realtà odierna; una parola che a volte usiamo troppo poco, che viene data troppo spesso per scontata, che non sappiamo apprezzare fino in fondo. In queste poche pagine, però, Daniel Pennac, con la sua instancabile ironia, riesce a farci riflettere sul vero senso di questa espressione.
Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 25 settembre 2017