Biblioteca San Giorgio, Pistoia


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Fornelli d'Italia

 

Quando nel lontano 1861 si è “fatta” l’Italia, l’Unità era più teorica che pratica e anche le abitudini culinarie tra nord e sud erano diversissime. Cavour, gourmet raffinato, lo sapeva e infatti per raccontare gli eventi salienti riguardo lo sbarco dei Mille, in un telegramma del luglio 1860, scrisse prendendo a prestito il linguaggio di cucina: “Le arance sono sulla nostra tavola e stiamo per mangiarle. Per i maccheroni bisogna aspettare perché non sono ancora cotti”. Da allora di tempo ne è passato: ma le discrepanze fra le diverse cucine regionali sono continuate per molto tempo, basti pensare allo storico manuale di Pellegrino Artusi, dove sono, infatti, assenti le ricette delle Marche, dell’Abruzzo e della Basilicata.

Oltre alle discriminazioni territoriali ci sono poi state quelle di genere, oggetto dell’interessante e curioso saggio scritto da Stefania Aphel Barzini, scrittrice ed esperta di cibo. Mentre il prestigio dell’abilità gastronomica è sempre stato affidato agli uomini, in realtà chi era ai fornelli e “padellava” erano sempre le donne. Volendo generalizzare, infatti, è da mani maschili che scaturiscono (soprattutto oggi) piatti originali e raffinatissimi, ma è altrettanto vero che è da mani femminili che nasce nutrimento e cibo quotidiano: il piatto di casa, della madre, della nonna è quello che cerchiamo nei momenti in cui ci sentiamo più stanchi o stressati, diviene quasi qualcosa di protettivo che fa pensare a quell'atmosfera di “casalinghitudine” – spiegata nell’omonimo libro (vedi) da Clara Sereni (autrice da sempre attenta ai significati del cibo) che solo le donne sono in grado di creare.

L’excursus storico proposto in questo testo è molto approfondito e riesce a svelare curiosità di tutte le celebri cuoche che si sono avvicendate nelle nostre case, fino ai giorni nostri. Si parte da Marietta Sabatini, la “fida Marietta”, domestica mai abbastanza citata e ricordata da Pellegrino Artusi; mentre lui lo immaginiamo con inchiostro e quaderni a compilare il suo Artusi (che nelle ultime versioni raccoglie ben 790 ricette), associamo a lei mestoli, padelle e l'immagine di una cucina come “officina” in cui a quell'epoca si sperimentavano ricette nuove. Si passa poi a parlare della cucina al tempo del fascismo e delle cuoche che al tempo del fascio erano ai fornelli (tra le quali Amalia Moretti Foggia della Rovere, in arte Petronilla, donna-medico, investita dell’incarico di tenere una rubrica di cucina sulla “Domenica del Corriere”). È poi la volta del dopoguerra, a cui seguono gli anni del boom economico e la nascita di utili elettrodomestici che aiutavano le cuoche nei loro regni: poi la liberazione femminista fece quasi del tutto spegnere i fornelli, cambiando inevitabilmente immagini e costumi femminili. Su questa scia, nasce negli anni Ottanta la cucina “veloce” che vuole subito il risultato e bada poco all’immagine, ideologia che si è consolidata fino ai giorni nostri, anche attraverso le note trasmissioni televisive condotte da Antonella Clerici, Benedetta Parodi e altre famose cooking ladies . In questi format televisivi ci si sfida a colpi di ragù, si affilano i coltelli per vincere premi, si cucina cibo che – raramente – sappiamo da dove provenga o con quale criteri venga acquistato ma manca, sine ullo dubbio, il sentimento, cioè l'idea che le ricette trasmettono e raccontano davvero anche qualcosa di nostro. E proprio questo il libro, in fondo, vuole dimostrare: non tutte le donne vorrebbero stare ai fornelli, questo è certo, ma, non possiamo pensare che la nostra cucina divenga solo un luogo di reclusione e che cucinare sia solo ottemperare a un dovere. Riappropriarsi della gioia di procurarsi il cibo, di godere del cibo, significa anche trasferire qualcosa di se stessi in ciò che bolle in pentola e riaffermare con forza un codice genetico che ci è stato tramandato da millenni.  

 

Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

 

 

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