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Dan-Sha-Ri: riordina la tua vita

I libri di autori giapponesi dedicati al tema del riordino della casa ormai affollano gli scaffali di librerie e biblioteche: dopo il successo mondiale de “L’arte del riordino” e “96 lezioni di felicità” di Marie Kondo (vedi), sembra che la manualistica dedicata alla vita personale non sappia parlare d’altro. Ed in effetti gli epigoni della Kondo sono molti, spesso capaci soltanto di rielaborare, semplificandole, le idee e le proposte operative della regina del riordino. In tutti i libri del genere le regole proposte all’attenzione del lettore sono sempre le stesse: buttare via tutti gli oggetti che non usiamo regolarmente, e che non sono (più) in linea con la nostra vita attuale, e mettere uno stop in ingresso ai nuovi oggetti, da vagliare attentamente prima ancora di eleggerli a nuovi compagni di vita e coinquilini nella nostra casa.

In effetti anche questo libro ripropone l’importanza di queste due regole fondamentali, articolandole in modo tale da dare vita a quello che viene presentato come un vero e proprio metodo di riordino: Dan, ovvero rifiutare l’ingresso a nuovi oggetti non altamente selezionati, Sha, ovvero buttare tutta la paccottiglia ammassata in casa, e Ri, ovvero staccarsi dall’attaccamento a questi oggetti, guadagnandosi un nuovo spazio di libertà.

Se dunque non ci allontaniamo di molto da ciò che abbiamo letto nei libri precedenti (ricordate la rassegna che la biblioteca ha dedicato al tema? la trovate qui: scarica il file Pdf, 655 Kb) perché dedicare tempo prezioso alla lettura di questo nuovo libro?  Perché rispetto ai suoi compagni di riordino, il libro della Yamashita si focalizza in modo specifico sul tema dell’apparenza, un concetto che l’autrice collega non già al desiderio di “fare bella figura” nei confronti di chi viene a trovarci a casa, bensì – in chiave più antropologica – alla relazione che emerge (e quindi appare) tra noi stessi e il luogo in cui viviamo. Lo stato in cui versa una casa racconta molte cose sul suo proprietario: se possediamo una preziosa tazza di porcellana di Meissen, ma facciamo colazione in un mug da quattro soldi, per paura di sciupare la tazza, è perché siamo tacitamente convinti di non esserne all’altezza. Se decidiamo di usarla tutti i giorni, ci metteremo invece sulla sua lunghezza d’onda e ci autorizzeremo ad essere adeguati rispetto ad una cosa così bella.

Gli oggetti di scarso valore che conserviamo a casa hanno l’effetto di “creare”, per riflesso, ciò che siamo, e quindi trasferiscono su di noi il loro scarso valore: e se ci circondiamo di brutte cose, gli altri ci tratteranno di conseguenza. Ecco che allora liberarsi di tutto il ciarpame, far entrare in casa solo ciò che è amico del nostro io attuale e che può aiutarci a migliorare, donare ad altri ciò che non riconosciamo più come amico diventano le tre tappe di una “educazione al possesso degli oggetti” di cui possiamo diventare padroni a piccoli passi, magari cominciando da una scatola, da un cassetto o da un singolo ripiano. A differenza di quanto sostiene la Kondo, l’autrice non ci consiglia di partire lancia in resta con propositi di pulizie straordinarie e sconvolgimenti familiari:  anche un passo alla volta potremo raggiungere l’obiettivo di riordinare la nostra vita, a condizione però di mettere sempre noi stessi, e non gli oggetti, al centro dell’attenzione. Ciò che conta non è il prezzo del singolo oggetto per scegliere se tenerlo o no, ma il fatto che possa sostenerci o meno rispetto al progetto di vita che vogliamo costruire.  

Maria Stella (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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