Configurazione Tundra
«Tundra è una linea retta, e noi la percorriamo all'infinito».
Così Diana, io narrante e protagonista del romanzo, definisce Tundra, l’utopica “città-bioma” perfetta progettata e realizzata dall'eccentrico architetto Marta Fiani, dove tutto è rigidamente organizzato in un ideale di «decoro, razionalità e sicurezza», valori imprescindibili che sanciscono la realizzazione di nuove architetture spaziali e politiche e dove gli abitanti «avrebbero potuto essere più efficienti e utili ... liberi dalla schiavitù del tempo».
La città è una linea (priva di slarghi, piazze, incroci) su cui si affacciano case e strutture; è divisa in quattro quartieri (Arti, Comunitaria, Residenziale, Lavori) differenziati cromaticamente e le abitazioni vengono assegnate da un algoritmo comunitario, non diventando di proprietà ma «luoghi temporanei che passano da persona a persona secondo logiche casuali». La supervisione su ogni aspetto della vita dei residenti è svolta dalla Guida (un consiglio eletto dagli organi governativi centrali, che considera l’interiorità individuale come qualcosa di calcolabile come un modello matematico): tutto è studiato per determinare il comportamento dei residenti, riducendo al minimo le interferenze e codificando le emozioni e i sentimenti, sottraendo le persone a quel libro arbitrio che impedisce di raggiungere la felicità.
Colei che ha progettato questo sistema distopico, Marta Fiani (che è anche scrittrice e filosofa), è un personaggio inquieto e inquietante che, a dispetto dell’ingombrante incarico di realizzare il modello di “città ideale” (in realtà alienante e opprimente) ha un obiettivo ambizioso: «Io voglio che l'umanità sia felice … il libero arbitrio non rende felici». L’interrogativo che sorge spontaneo è: come possono le persone accettare di rinunciare alla propria libertà ed essere felici? Come può un sistema di potere e di soggezione renderlo possibile?
Tra le varie regole definite dal questo sistema c’è quella dell’Altrove: ogni anno sono concessi a ognuno tre mesi di riposo, da trascorrere in una casa diversa dalla propria, in cui non troveranno alcuna traccia dei precedenti abitanti. È così che Diana va a vivere per sorte nell'appartamento che fu di Lea, la figlia dell’architetto Marta Fiani.
Nell'esplorare gli effetti personali (lettere, video, libri) lasciati dalla vecchia proprietaria, contravvenendo alle regole, Diana, durante tutto il romanzo, racconta la vita di Lea e ripercorre le sue esperienze e i suoi rapporti con la complicata madre e con i tre uomini di cui parla nei suoi diari: Ettore, Pao e Mr. Iulio, intersecando piani temporali e spaziali e sempre in bilico fra una stupita ricostruzione del passato e una quasi soffocante descrizione del presente. Diana affronta così una personale rivoluzione interiore e scopre una possibile via di fuga dalle opprimenti maglie del modello, interrogandosi sul rapporto tra le persone oppresse dal sistema e su come un’utopia imposta ha cambiato le relazioni interpersonali.
Atmosfere cupe e rarefatte (quasi alla George Orwell), visioni oniriche, uno stile crudo, ricercato e simbolico e un linguaggio evocativo, non banale né facile ma avvincente, ci portano, in poco più di cento pagine, a scoprire un particolare e avveniristico punto di vista sul mondo e sull’interiorità tanto originale (e stravagante?) quanto capace di far riflettere il lettore sui due diversi modi di vivere, dentro al modello e fuori. E anche a rendersi conto, in definitiva, che si sta decisamente meglio fuori.
Paola Fagnani (Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento sabato, 1 agosto 2020
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Così Diana, io narrante e protagonista del romanzo, definisce Tundra, l’utopica “città-bioma” perfetta progettata e realizzata dall'eccentrico architetto Marta Fiani, dove tutto è rigidamente organizzato in un ideale di «decoro, razionalità e sicurezza», valori imprescindibili che sanciscono la realizzazione di nuove architetture spaziali e politiche e dove gli abitanti «avrebbero potuto essere più efficienti e utili ... liberi dalla schiavitù del tempo».
La città è una linea (priva di slarghi, piazze, incroci) su cui si affacciano case e strutture; è divisa in quattro quartieri (Arti, Comunitaria, Residenziale, Lavori) differenziati cromaticamente e le abitazioni vengono assegnate da un algoritmo comunitario, non diventando di proprietà ma «luoghi temporanei che passano da persona a persona secondo logiche casuali». La supervisione su ogni aspetto della vita dei residenti è svolta dalla Guida (un consiglio eletto dagli organi governativi centrali, che considera l’interiorità individuale come qualcosa di calcolabile come un modello matematico): tutto è studiato per determinare il comportamento dei residenti, riducendo al minimo le interferenze e codificando le emozioni e i sentimenti, sottraendo le persone a quel libro arbitrio che impedisce di raggiungere la felicità.
Colei che ha progettato questo sistema distopico, Marta Fiani (che è anche scrittrice e filosofa), è un personaggio inquieto e inquietante che, a dispetto dell’ingombrante incarico di realizzare il modello di “città ideale” (in realtà alienante e opprimente) ha un obiettivo ambizioso: «Io voglio che l'umanità sia felice … il libero arbitrio non rende felici». L’interrogativo che sorge spontaneo è: come possono le persone accettare di rinunciare alla propria libertà ed essere felici? Come può un sistema di potere e di soggezione renderlo possibile?
Tra le varie regole definite dal questo sistema c’è quella dell’Altrove: ogni anno sono concessi a ognuno tre mesi di riposo, da trascorrere in una casa diversa dalla propria, in cui non troveranno alcuna traccia dei precedenti abitanti. È così che Diana va a vivere per sorte nell'appartamento che fu di Lea, la figlia dell’architetto Marta Fiani.
Nell'esplorare gli effetti personali (lettere, video, libri) lasciati dalla vecchia proprietaria, contravvenendo alle regole, Diana, durante tutto il romanzo, racconta la vita di Lea e ripercorre le sue esperienze e i suoi rapporti con la complicata madre e con i tre uomini di cui parla nei suoi diari: Ettore, Pao e Mr. Iulio, intersecando piani temporali e spaziali e sempre in bilico fra una stupita ricostruzione del passato e una quasi soffocante descrizione del presente. Diana affronta così una personale rivoluzione interiore e scopre una possibile via di fuga dalle opprimenti maglie del modello, interrogandosi sul rapporto tra le persone oppresse dal sistema e su come un’utopia imposta ha cambiato le relazioni interpersonali.
Atmosfere cupe e rarefatte (quasi alla George Orwell), visioni oniriche, uno stile crudo, ricercato e simbolico e un linguaggio evocativo, non banale né facile ma avvincente, ci portano, in poco più di cento pagine, a scoprire un particolare e avveniristico punto di vista sul mondo e sull’interiorità tanto originale (e stravagante?) quanto capace di far riflettere il lettore sui due diversi modi di vivere, dentro al modello e fuori. E anche a rendersi conto, in definitiva, che si sta decisamente meglio fuori.
Paola Fagnani (Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento sabato, 1 agosto 2020
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