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Con onesto amore di degradazione e Romanzi del movimento, romanzi in movimento

 

Che la Storia la scrivono i vincitori è un vecchio adagio che contiene certamente molta verità. Lo stesso si può dire della Storia della letteratura. E se, per fortuna, a qualche storico viene voglia di volta in volta di frugare tra i cartolari più polverosi, quelli che raccontano le vicende e le idee dei vinti, spalancandoci così all’improvviso longitudini e latitudine di comprensione della complessità di un periodo o di un’epoca fino a quel momento impensabili, lo stesso accade nel campo degli studi letterari.

Una benemerita opera di studio in tal senso è quella compiuta negli ultimi anni da Luigi Weber, italianista dell’Università di Bologna che nel palinsesto della storia del romanzo italiano del Novecento è andato a raschiare con l’intento di portare alla luce i filoni minoritari e progressivamente trascurati dagli studi maggiori e dall’editoria. I suoi due volumi Con onesto amore di degradazione (il titolo, bellissimo, è una citazione da Hilarotragoedia di Manganelli), dedicato ai romanzi sperimentali e d’avanguardia nel secondo Novecento italiano, e Romanzi del movimento, romanzi in movimento, interamente rivolto alla narrativa del Futurismo, andrebbero in tal senso inquadrati come due volti della stessa ricerca, a cui potremmo, con vago ardire di leggerezza, sovrascrivere un fantasmatico titolo unico del tipo" Storia letteraria dei binari morti". E sia chiaro che questo non vuol essere un limite da mettere in conto a questi due libri, anzi, al contrario, un prezioso credito. Anche perché l’armamentario letterario e più largamente culturale dispiegato da Weber in testa a entrambi i suoi studi (simili nella struttura, con una prima parte di inquadramento teorico e una seconda più analitica sui singoli testi), restituiscetutta la sua complessità al tema e pone sul tavolo una lunga serie di interrogativi sul significato nella Storia di queste forme narrative, nate con quel lieve anticipo sui tempi che in Italia, a differenza di altri paesi europei, non ha mai saputo diventare un “presente”.  Basti notare come tutta la narrativa del Futurismo e dintorni sia stata cancellata nella vulgata maggioritaria, quella che fa capo all’indiscutibile genio di Giacomo Debenedetti e che fa risalire la nascita del romanzo italiano del Novecento agli anni Venti, quando invece per Weber “intorno al 1922 i giochi sono già tutti fatti”.

Appassiona dunque questa doppia lettura anche per come è capace di innestare in un inquadramento codificato, sicuramente nobile ma che il sedimento scolastico ha di fatto ormai affaticato  e reso un po’ stantìo, elementi di rilettura e di ribaltamento, nutriti soprattutto di dubbio e voglia di interrogare i documenti senza risposte prestabilite e con un grande amore, evidente seppure taciuto, implicito: quello per il possibile e il potenziale. Alla fine queste forme abortite e abbandonate a se stesse, in due momenti diversi della storia del Novecento italiano, paiono un po’ l’emblema di tutte le strade mancate dall’Italia nel suo sviluppo mai veramente compiuto proprio perché, forse, mai capace, di portare a valore e a sintesi i propri conflitti, quando ideologici quando gerazionali. È naturale allora che in controluce a queste vicende letterarie si possa intravedere la storia di un’Italia che ben lungi dall’amare e coltivare il movimento ha vissuto secoli di sudditanza rispetto alla conservazione, alzando di tanto in tanto la testa soltanto in alcuni sussulti “rivoluzionari” subito inquadrati, digeriti e resi inoffensivi. Salgono dal profondo dunque, come dovrebbe essere ogni volta che ci interroghiamo sulle forme dell’estetica, interrogativi ancora più profondi e ammalianti di quelli sul destino di una forma letteraria: la domanda su come avrebbe potuto essere l’Italia con un briciolo in più di coraggio e di passione per il movimento, di attitudine generale a valorizzare l’innovazione e l’immaginazione, con un po’ più di fantasia e di sorpresa, con un po’ più – soprattutto - di onesto amore, non importa se di degradazione o meno.

Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)

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