Catrame
Per stare alle cronologie e alle bibliografie, Catrame è, prima di ogni cosa, semplicemente, il libro di esordio di Giuseppe Genna e anche il primo della serie che vede protagonista Guido Lopez , poliziotto dall'anima inquieta emblema principale della serie dei noir sociopolitici dell'autore milanese (lo seguiranno Nel nome di Ishmael, Non toccare la pelle del drago e Le teste).
Il plot, inizialmente semplice (tutto parte con le indagini sull'evasione dal carcere di Opera di un ex terrorista nero) tende a complicarsi per incastri e intrusioni, fino a rivelare una trama intricata e asfissiante, montata pezzo su pezzo come un mosaico di sospetti e di quelle che si chiamerebbero coincidenze, se le coincidenze esistessero. La scacchiera straborda da se stessa, le caselle si moltiplicano quasi all'infinito, o almeno ben fin dentro l'ombra, e alla fine il motore immobile e nascosto di tutto ciò che si agita in superficie (droga, prostituzione, abusi, servizi segreti, pedofilia, rapporti tra politica e terrorismo....) finisce per imparentarsi ai mille misteri di cui è costellata la storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, soprattutto negli anni a ridosso del terrorismo.
Restando in superficie si direbbe che non ci sia niente di nuovo, ad eccezione del coraggio di questo narratore, all'epoca (il libro uscì per la prima volta nel 1999) appena trentenne, e della qualità della sua scrittura. Del resto i libri gialli hanno come ovvio comune denominatore quello di indagare intorno a una vicenda misteriosa e molti dei migliori hanno il merito di indagare anche i meccanismi spesso taciuti delle società in cui si ambientano. Soltanto pochissimi scrittori però, e Genna è tra loro, riescono a mettere la propria scrittura al servizio di uno scandaglio ben più difficile, nelle profondità della natura umana. È una indagine che si dirama nelle intercapedini tra un evento e l'altro, nei non-fatti e nei non-detti, in tutto ciò che non è fabula e che costituisce una sorta di negativo della narrazione, un “rumore bianco”, nella partitura contrappuntistica di questo libro (e anche di quelli che lo seguiranno) costruito come una clessidra, in modo tale che la soluzione del mistero iniziale (quello dell'intreccio del libro) finisce per ribaltarsi in un mistero ancora maggiore e soprattutto assai più inquietante e tutto da risolvere (quello della storia dell'Italia del dopoguerra).
In questo cocktail va dunque rintracciata la ricetta dello splendore oscuro che fa di Catrame un esempio di grande letteratura, sia che si abbraccino le ricostruzioni storiche di Genna, sia che le si rigettino: la capacità di tenere insieme con la sutura serrata di una scrittura adrenalinica che non perde mai colpi un rigoroso senso della trama e una visione lucidissima della realtà degni dei grandi scrittori dell'hard boiled classico, la capacità di ridisegnare con una potenza inedita l'anima di una città (Milano), la profondità tragica e l'emblematicità dei personaggi degne di un classico, uno stupefacente approfondimento psicologico dal sapore russo con passaggi folgoranti di cui il seguente valga come saggio:
"Ognuno cancella di sé le debolezze che riconosce, con l'astio dell'orfano, del povero, del calamitato, di chi è colpito dalla malattia. Teme l'assalto delle frane che non si attende, delle crepe che si possono aprire (si apriranno!) preparando l'interludio di una fine della propria vita. La fine di un amore, la fine degli anni amati, la fine definitiva... E arranca dietro quella lotta di sutura, per rimuovere gli strappi certi, consolidati, per evitarne la suppurazione. È una lotta senza dignità o bellezza, la lotta di finti acrobati fallimentari, che non si preoccupano più della bellezza dell'esercizio: cercano solo di arrivare alla sponda opposta sani e salvi. Non c'è gesto che si tolleri, si cerca soltanto di raggiungere il risultato, di cancellare un volto, di annullare un momento vissuto e mai scordato."
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento giovedì, 17 aprile 2014
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Per stare alle cronologie e alle bibliografie, Catrame è, prima di ogni cosa, semplicemente, il libro di esordio di Giuseppe Genna e anche il primo della serie che vede protagonista Guido Lopez , poliziotto dall'anima inquieta emblema principale della serie dei noir sociopolitici dell'autore milanese (lo seguiranno Nel nome di Ishmael, Non toccare la pelle del drago e Le teste).
Il plot, inizialmente semplice (tutto parte con le indagini sull'evasione dal carcere di Opera di un ex terrorista nero) tende a complicarsi per incastri e intrusioni, fino a rivelare una trama intricata e asfissiante, montata pezzo su pezzo come un mosaico di sospetti e di quelle che si chiamerebbero coincidenze, se le coincidenze esistessero. La scacchiera straborda da se stessa, le caselle si moltiplicano quasi all'infinito, o almeno ben fin dentro l'ombra, e alla fine il motore immobile e nascosto di tutto ciò che si agita in superficie (droga, prostituzione, abusi, servizi segreti, pedofilia, rapporti tra politica e terrorismo....) finisce per imparentarsi ai mille misteri di cui è costellata la storia d'Italia dal dopoguerra a oggi, soprattutto negli anni a ridosso del terrorismo.
Restando in superficie si direbbe che non ci sia niente di nuovo, ad eccezione del coraggio di questo narratore, all'epoca (il libro uscì per la prima volta nel 1999) appena trentenne, e della qualità della sua scrittura. Del resto i libri gialli hanno come ovvio comune denominatore quello di indagare intorno a una vicenda misteriosa e molti dei migliori hanno il merito di indagare anche i meccanismi spesso taciuti delle società in cui si ambientano. Soltanto pochissimi scrittori però, e Genna è tra loro, riescono a mettere la propria scrittura al servizio di uno scandaglio ben più difficile, nelle profondità della natura umana. È una indagine che si dirama nelle intercapedini tra un evento e l'altro, nei non-fatti e nei non-detti, in tutto ciò che non è fabula e che costituisce una sorta di negativo della narrazione, un “rumore bianco”, nella partitura contrappuntistica di questo libro (e anche di quelli che lo seguiranno) costruito come una clessidra, in modo tale che la soluzione del mistero iniziale (quello dell'intreccio del libro) finisce per ribaltarsi in un mistero ancora maggiore e soprattutto assai più inquietante e tutto da risolvere (quello della storia dell'Italia del dopoguerra).
In questo cocktail va dunque rintracciata la ricetta dello splendore oscuro che fa di Catrame un esempio di grande letteratura, sia che si abbraccino le ricostruzioni storiche di Genna, sia che le si rigettino: la capacità di tenere insieme con la sutura serrata di una scrittura adrenalinica che non perde mai colpi un rigoroso senso della trama e una visione lucidissima della realtà degni dei grandi scrittori dell'hard boiled classico, la capacità di ridisegnare con una potenza inedita l'anima di una città (Milano), la profondità tragica e l'emblematicità dei personaggi degne di un classico, uno stupefacente approfondimento psicologico dal sapore russo con passaggi folgoranti di cui il seguente valga come saggio:
"Ognuno cancella di sé le debolezze che riconosce, con l'astio dell'orfano, del povero, del calamitato, di chi è colpito dalla malattia. Teme l'assalto delle frane che non si attende, delle crepe che si possono aprire (si apriranno!) preparando l'interludio di una fine della propria vita. La fine di un amore, la fine degli anni amati, la fine definitiva... E arranca dietro quella lotta di sutura, per rimuovere gli strappi certi, consolidati, per evitarne la suppurazione. È una lotta senza dignità o bellezza, la lotta di finti acrobati fallimentari, che non si preoccupano più della bellezza dell'esercizio: cercano solo di arrivare alla sponda opposta sani e salvi. Non c'è gesto che si tolleri, si cerca soltanto di raggiungere il risultato, di cancellare un volto, di annullare un momento vissuto e mai scordato."
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento giovedì, 17 aprile 2014
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