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Butcher's Crossing

 

Prima di allora i suoi occhi erano rimasti fissi quasi tutto il tempo sulla schiena di Miller, ora invece si sforzavano di guardare lontano, verso quel mucchietto di terra irregolare, ora più nitido, ora sfocato, che si stagliava contro l’orizzonte. E si accorse che la sua smania di raggiungerlo era simile alla sete che aveva appena provato. Sapeva che le montagne erano lì, riusciva a vederle, ma non capiva esattamente quale genere di fame o di sete avrebbero placato in lui.

Quando agli inizi del 2012, in Italia, scoprimmo Stoner, il romanzo capolavoro di John Williams, in molti, restammo a bocca aperta. Quasi nessuno, tra critici e lettori, conosceva lo scrittore statunitense (1922 – 1994) e, quasi nessuno, dopo averlo letto, ha potuto dimenticarlo. Stoner (potete leggerne una recensione qui) è un capolavoro, in molti hanno sottolineato come la bellezza della scrittura di Williams avesse reso meravigliosa la storia di una vita dove non accadeva nulla di straordinario. Stoner è del 1965, ma prima ancora ci fu Butcher’s Crossing, uscito nel 1960, libro che nel 2013 è arrivato a noi, sempre da Fazi, per fortuna. Possiamo, dunque, continuare il nostro viaggio nella scrittura di John Williams.

William Andrews, un ventenne, bostoniano, che ha studiato ad Harvard, decide (anche grazie a una somma ricevuta in eredità) di partire per il selvaggio Ovest per cercare non sa bene cosa, qui incontra Miller, un cacciatore di bisonti professionista, considerato il migliore. Più tardi capiremo che quella che Miller ha per i bisonti è una vera ossessione. “Miller lo guardò per un istante. «L’Università di Harvard». Scosse la testa. «Io ho imparato a leggere un inverno che sono rimasto bloccato dalla neve in Colorado, dentro un rifugio di caccia. E so scrivere solo il mio nome. Cosa pensi di poter imparare da me?»” Il ragazzo, invece, imparerà. Imparerà da Miller, tutto sulla caccia al bisonte, sulla solitudine, su come un volto possa cambiare. Imparerà come la fiamma della follia si possa nascondere dietro l’uomo più saggio e più scaltro. Imparerà il sesso, la delicatezza, l’amore e il rimpianto tra le braccia di una prostituta. Imparerà la bellezza e il silenzio del paesaggio sconfinato del Far West. Proprio come in Stoner, anche in questo romanzo pare accadere molto poco, la parte centrale del racconto è fatta di gesti ripetuti, bivacchi intorno al fuoco, colpi di fucile. Di bisonti ammazzati e scuoiati: una mattanza. Andrews, Miller e altri due uomini passeranno l’intera stagione di caccia e, poi bloccati dalla neve, l’inverno successivo in una pianura in mezzo alle montagne. I dialoghi sono pressoché assenti, il gelo copre tutto, si rischia di perdere la ragione, eppure gli uomini, di volta in volta, chi più chi meno, troveranno sostegno e fiducia nelle poche parole di Miller, l’uomo che li ha condotti al disastro. Ci sarà ancora altro da imparare per William, lungo la via del ritorno, finalmente sgombra dalla neve, e all’arrivo a Butcher’s Crossing. Gli uomini sono piccoli e, per poco o niente, possono vagare spaventati come i bisonti dopo uno sparo. John Williams ha scritto un grande romanzo non solo di formazione, non solo sul West (prima e, in maniera diversa, da McCarthy), ma anche sull’umanità e sul sentirsi disorientati, come una mandria in fuga, e da un paesaggio grandioso. Il Far West sta cambiando, quella a cui William ha partecipato sarà, forse, l’ultima caccia al bisonte: una mattina monterà a cavallo, non saprà ancora dove andare né cosa fare. Non saprà quando né come, ma immaginerà il perché e partirà, di nuovo. Se Stoner è un capolavoro, Butcher’s Crossing è un romanzo molto bello, ed è la conferma che John Williams è stato un grandissimo scrittore.

Gianni Montieri (poeta e critico, in collaborazione con Poetarum Silva)

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