Azzurro tenebra
Il campionato di Serie A è cominciato da pochi giorni e questo fine settimana sarà quello decisivo per la nazionale di calcio, che si gioca contro la Spagna la qualificazione ai campionati del mondo in programma il prossimo anno in Russia. Quale occasione migliore per rileggersi il maggior romanzo italiano sul calcio?
Azzurro tenebra uscì nell'ottobre del 1977, frutto decantato del lavoro di Giovanni Arpino come inviato del giornale "La Stampa" ai mondiali di calcio del 1974. In Germania andò in scena una delle più clamorose débâcle della storia della nazionale italiana di calcio, paragonabile alla proverbiale eliminazione al primo turno subita per mano della Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966. L'Italia, reduce dal secondo posto ai mondiali del 1970 (quelli di Italia-Germania 4-3: erano anni in cui la mitologia era rigogliosa), si presenta ai nastri di partenza come una delle favorite più accreditare alla vittoria finale e, invece, viene eliminata al primo turno, incapace di esprimere il gioco e la personalità che tutti si attendono e addirittura pretendono.
Facile, facilissimo, individuare l'autore dietro il personaggio di Arp, giornalista al seguito della nazionale, che già dai giorni precedenti esprime i suoi dubbi sull'effettivo valore della squadra italiana, troppo affollata di cosiddette "prime donne". È una penna magistrale e abbagliante quella di Arpino, come il calcio non ne ebbe mai di pari al proprio servizio, nemmeno Gianni Brera, omaggiato più volte nel romanzo, dove compare sotto lo pseudonimo Grangiuàn. E la storia di un mondiale di calcio diventa nelle sua mani materiale per un grande affresco epico, in cui i personaggi assumono profili universali, nascosti ma riconoscibilissimi sotto le sembianze dei rispettivi pseudonimi, alcuni noti altri coniati per l'occasione: il Golden Boy (Rivera), lo Zio (Valcareggi), il Baffo (Mazzola), Giorgione (Chinaglia), il Bomber (Riva), eccetera. Tutti immortalati in un attimo rivelatore della loro essenza, miti caduti nella polvere della sconfitta, ognuno portatore di un segno tutto proprio e insieme esemplare, come gli eroi omerici. E le descrizioni che Arpino offre di questi calciatori dal fuoco interiore ormai spento, stanco, sconfitto prima della sconfitta, sono di una icasticità magnifica, capaci di accendersi improvvisamente in una tragica trasparenza esistenziale che lascia a bocca.
Così Arp vide il Bomber. Schumava di queste impotenze nei pochi centimetri della verde porzione di scacchiera. Ruotò, il Bomber, dilaniandosi nel vuoto. Perse palla e cadde: furono quintali di malinconia quelli che in lui cercarono, tra il silenzio del Neckarstadion, di rimettersi in piedi: perché è lì, quando ti devi rialzare, che ti azzanna la solitudine.
E così Arp vide l'anima nuda e macilenta del Golden Boy. Alla sommità del fumo ch'era diventato, sole le occhiaie gli erano rimaste, due macchie livide che i fari oltraggiavano scaraventando fiotti di luce crudele. Il fumo di Golden oscillò come se dovesse strapparsi in un estremo tentativo di rappresentazione vincente e diventare pura trasparenza, invece si disfò inciampando nella palla morta e perduta, oscillando si offrì alla scarica di offese che dalle curve urlarono e caddero a grandinata.
Emergono sopra tutti, per spessore etico e personalità eroica, i nobili personaggi del Vecio (Bearzot), con cui Arp ha lunghi colloqui ricchi di profonda comprensione delle vicende umane, di San Dino (Zoff) e del Capitano (Facchetti), ma il panorama generale che emerge da queste pagine, sia che si tratti della "Banda Crepacuore" (come viene ribattezzata la Nazionale), sia dell'Armata Brancaleone dei giornalisti al suo seguito (divisi in due fazioni: le "jene", sempre pronte a rimestare nel torbido dello scandalo, e le "belle gioie", sempre inclini, al contrario, a perdonare qualsiasi cosa all'Italia), sia dei tifosi e della loro bruciante e dsitruttiva passione, ha i tratti, in controluce, di un intero Paese che ormai sbanda, dal profilo etico pericolosamente in flessione, in cui gli articoli sul calcio, nei giornali, si alternano in prima pagina a quelli sulla preoccupante condizione sociopolitica, nei giorni di guado tra la strage di Piazza della Loggia e quella del treno Italicus.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 11 settembre 2017
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Il campionato di Serie A è cominciato da pochi giorni e questo fine settimana sarà quello decisivo per la nazionale di calcio, che si gioca contro la Spagna la qualificazione ai campionati del mondo in programma il prossimo anno in Russia. Quale occasione migliore per rileggersi il maggior romanzo italiano sul calcio?
Azzurro tenebra uscì nell'ottobre del 1977, frutto decantato del lavoro di Giovanni Arpino come inviato del giornale "La Stampa" ai mondiali di calcio del 1974. In Germania andò in scena una delle più clamorose débâcle della storia della nazionale italiana di calcio, paragonabile alla proverbiale eliminazione al primo turno subita per mano della Corea del Nord ai mondiali inglesi del 1966. L'Italia, reduce dal secondo posto ai mondiali del 1970 (quelli di Italia-Germania 4-3: erano anni in cui la mitologia era rigogliosa), si presenta ai nastri di partenza come una delle favorite più accreditare alla vittoria finale e, invece, viene eliminata al primo turno, incapace di esprimere il gioco e la personalità che tutti si attendono e addirittura pretendono.
Facile, facilissimo, individuare l'autore dietro il personaggio di Arp, giornalista al seguito della nazionale, che già dai giorni precedenti esprime i suoi dubbi sull'effettivo valore della squadra italiana, troppo affollata di cosiddette "prime donne". È una penna magistrale e abbagliante quella di Arpino, come il calcio non ne ebbe mai di pari al proprio servizio, nemmeno Gianni Brera, omaggiato più volte nel romanzo, dove compare sotto lo pseudonimo Grangiuàn. E la storia di un mondiale di calcio diventa nelle sua mani materiale per un grande affresco epico, in cui i personaggi assumono profili universali, nascosti ma riconoscibilissimi sotto le sembianze dei rispettivi pseudonimi, alcuni noti altri coniati per l'occasione: il Golden Boy (Rivera), lo Zio (Valcareggi), il Baffo (Mazzola), Giorgione (Chinaglia), il Bomber (Riva), eccetera. Tutti immortalati in un attimo rivelatore della loro essenza, miti caduti nella polvere della sconfitta, ognuno portatore di un segno tutto proprio e insieme esemplare, come gli eroi omerici. E le descrizioni che Arpino offre di questi calciatori dal fuoco interiore ormai spento, stanco, sconfitto prima della sconfitta, sono di una icasticità magnifica, capaci di accendersi improvvisamente in una tragica trasparenza esistenziale che lascia a bocca.
Così Arp vide il Bomber. Schumava di queste impotenze nei pochi centimetri della verde porzione di scacchiera. Ruotò, il Bomber, dilaniandosi nel vuoto. Perse palla e cadde: furono quintali di malinconia quelli che in lui cercarono, tra il silenzio del Neckarstadion, di rimettersi in piedi: perché è lì, quando ti devi rialzare, che ti azzanna la solitudine.
E così Arp vide l'anima nuda e macilenta del Golden Boy. Alla sommità del fumo ch'era diventato, sole le occhiaie gli erano rimaste, due macchie livide che i fari oltraggiavano scaraventando fiotti di luce crudele. Il fumo di Golden oscillò come se dovesse strapparsi in un estremo tentativo di rappresentazione vincente e diventare pura trasparenza, invece si disfò inciampando nella palla morta e perduta, oscillando si offrì alla scarica di offese che dalle curve urlarono e caddero a grandinata.
Emergono sopra tutti, per spessore etico e personalità eroica, i nobili personaggi del Vecio (Bearzot), con cui Arp ha lunghi colloqui ricchi di profonda comprensione delle vicende umane, di San Dino (Zoff) e del Capitano (Facchetti), ma il panorama generale che emerge da queste pagine, sia che si tratti della "Banda Crepacuore" (come viene ribattezzata la Nazionale), sia dell'Armata Brancaleone dei giornalisti al suo seguito (divisi in due fazioni: le "jene", sempre pronte a rimestare nel torbido dello scandalo, e le "belle gioie", sempre inclini, al contrario, a perdonare qualsiasi cosa all'Italia), sia dei tifosi e della loro bruciante e dsitruttiva passione, ha i tratti, in controluce, di un intero Paese che ormai sbanda, dal profilo etico pericolosamente in flessione, in cui gli articoli sul calcio, nei giornali, si alternano in prima pagina a quelli sulla preoccupante condizione sociopolitica, nei giorni di guado tra la strage di Piazza della Loggia e quella del treno Italicus.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 11 settembre 2017
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