Attraverso il Paradiso
Se Sam Shepard sia soprattutto un grande attore oppure un grande sceneggiatore oppure un grande drammaturgo è difficile a dirsi. Il dibattito è aperto. Gli estimatori dello Shepard attore ricorderanno le sue grandi interpretazioni a partire dallo strepitoso esordio in un ruolo di rilievo sotto la regia in Terence Malick in I giorni del cielo. Chi vede in lui soprattutto il maggior drammaturgo americano della sua generazione fa leva su una monumentale produzione più che quarantennale di oltre cinquanta plays, culminata con il Premio Pulitzer per “Il bambino sepolto” (ora in Scene americane) e una serie infinita di riconoscimenti nazionali e internazionali. Come sceneggiatore cinematografico basta citare i due suoi maggiori capolavori Zabriskie Point e Paris, Texas, per offrire un'idea della dimensione del suo lavoro.
Di sicuro con l'insieme della sua opera Shepard ha contribuito come pochi altri a definire quella che è l'identità di una nazione, in particolare nei territori del nuovo West, negli spazi sterminati come nelle strette e anguste stanze di abitazioni fin troppo popolari e niente affatto illuminate da una qualsiasi speranza. Proprio in questa dialettica tra il silenzio di dentro e il vuoto di fuori, spesso animata da rapporti interpersonali conflittuali, si svolge gran parte della sua scrittura. In tal senso il personaggio più significativo della sua opera è forse Travis, il protagonista di "Paris, Texas", che, per lasciarsi alle spalle la catastrofe di un matrimonio e di una paternità bruciati nel rogo di una gelosia maniacale incontrollabile, vagabonda a piedi per quattro anni da Los Angeles fino al deserto texano dove viene ritrovato, arroccato in un mutismo assoluto, dal fratello che lo riporta a casa.
Chi ha amato le atmosfere di quel film di Wim Wenders, i suoi panorami sterminati e immobili, quella capacità unica di far parlare le immagini e il silenzio, di definire un uomo tanto profondamente quanto più egli si sottrae all'essere esplicabile e comprensibile, i dialoghi laconici ma improvvisamente detonanti in rivelazioni di un destino più grande di ogni volontà, amerà sicuramente anche la narrativa di Shepard, improntata a un realismo spietato, doloroso, crudo, malinconico, checoviano e inspiegabilmente trascurata da molti come una sua arte minore.
“Siamo quel che siamo e non possiamo farci niente” dice il protagonista di Il soccombente di Thomas Bernhard e quanto riecheggia e sembra vera questa frase osservando i personaggi di Shepard nei due volumi di racconti Attraverso il Paradiso e Il grande sogno, entrambi tradotti da Andrea Buzzi: un pugno di mosche che sbattono contro una lampadina accesa nella notte cercando disperatamente una via d'uscita da una costrizione e da un disagio che appaiono però un marchio a fuoco esistenziale, una condizione inevitabile. Basti pensare al racconto “Da qui a Coalinga”, nella prima delle due raccolte, in cui il protagonista lascia dopo quindici anni la moglie con cui ha un figlio comunicandoglielo per telefono, rifiutandogli anche un ultimo incontro dal vivo, quando ormai è sulla strada di Los Angeles, dove ha intenzione di rifarsi una vita con un'altra donna. Salvo poi telefonare a questa per avvertirla del suo arrivo e trovarla sulla porta di casa, con le valigie pronte, in procinto di partire per raggiungere il marito che ha avuto un incarico di lavoro in un altro Stato.
Cactus, deserti, pascoli, città sonnolente, roulotte sfasciate mal adattate ad abitazioni, alberghi anonimi, squallide tavole calde, lunghissime strade semivuote a perdita d'occhio che sembrano buone soltanto per allontanarsi da un luogo senza giungere mai altrove, sono la scenografia metafisica di una mancanza perenne di vie d'uscita, di un destino impresso dappertutto da un drammaturgo ben più in alto dello scrittore, un drammaturgo eterno, cinico e onnipotente.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
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Ultimo aggiornamento lunedì, 7 settembre 2015
Se Sam Shepard sia soprattutto un grande attore oppure un grande sceneggiatore oppure un grande drammaturgo è difficile a dirsi. Il dibattito è aperto. Gli estimatori dello Shepard attore ricorderanno le sue grandi interpretazioni a partire dallo strepitoso esordio in un ruolo di rilievo sotto la regia in Terence Malick in I giorni del cielo. Chi vede in lui soprattutto il maggior drammaturgo americano della sua generazione fa leva su una monumentale produzione più che quarantennale di oltre cinquanta plays, culminata con il Premio Pulitzer per “Il bambino sepolto” (ora in Scene americane) e una serie infinita di riconoscimenti nazionali e internazionali. Come sceneggiatore cinematografico basta citare i due suoi maggiori capolavori Zabriskie Point e Paris, Texas, per offrire un'idea della dimensione del suo lavoro.
Di sicuro con l'insieme della sua opera Shepard ha contribuito come pochi altri a definire quella che è l'identità di una nazione, in particolare nei territori del nuovo West, negli spazi sterminati come nelle strette e anguste stanze di abitazioni fin troppo popolari e niente affatto illuminate da una qualsiasi speranza. Proprio in questa dialettica tra il silenzio di dentro e il vuoto di fuori, spesso animata da rapporti interpersonali conflittuali, si svolge gran parte della sua scrittura. In tal senso il personaggio più significativo della sua opera è forse Travis, il protagonista di "Paris, Texas", che, per lasciarsi alle spalle la catastrofe di un matrimonio e di una paternità bruciati nel rogo di una gelosia maniacale incontrollabile, vagabonda a piedi per quattro anni da Los Angeles fino al deserto texano dove viene ritrovato, arroccato in un mutismo assoluto, dal fratello che lo riporta a casa.
Chi ha amato le atmosfere di quel film di Wim Wenders, i suoi panorami sterminati e immobili, quella capacità unica di far parlare le immagini e il silenzio, di definire un uomo tanto profondamente quanto più egli si sottrae all'essere esplicabile e comprensibile, i dialoghi laconici ma improvvisamente detonanti in rivelazioni di un destino più grande di ogni volontà, amerà sicuramente anche la narrativa di Shepard, improntata a un realismo spietato, doloroso, crudo, malinconico, checoviano e inspiegabilmente trascurata da molti come una sua arte minore.
“Siamo quel che siamo e non possiamo farci niente” dice il protagonista di Il soccombente di Thomas Bernhard e quanto riecheggia e sembra vera questa frase osservando i personaggi di Shepard nei due volumi di racconti Attraverso il Paradiso e Il grande sogno, entrambi tradotti da Andrea Buzzi: un pugno di mosche che sbattono contro una lampadina accesa nella notte cercando disperatamente una via d'uscita da una costrizione e da un disagio che appaiono però un marchio a fuoco esistenziale, una condizione inevitabile. Basti pensare al racconto “Da qui a Coalinga”, nella prima delle due raccolte, in cui il protagonista lascia dopo quindici anni la moglie con cui ha un figlio comunicandoglielo per telefono, rifiutandogli anche un ultimo incontro dal vivo, quando ormai è sulla strada di Los Angeles, dove ha intenzione di rifarsi una vita con un'altra donna. Salvo poi telefonare a questa per avvertirla del suo arrivo e trovarla sulla porta di casa, con le valigie pronte, in procinto di partire per raggiungere il marito che ha avuto un incarico di lavoro in un altro Stato.
Cactus, deserti, pascoli, città sonnolente, roulotte sfasciate mal adattate ad abitazioni, alberghi anonimi, squallide tavole calde, lunghissime strade semivuote a perdita d'occhio che sembrano buone soltanto per allontanarsi da un luogo senza giungere mai altrove, sono la scenografia metafisica di una mancanza perenne di vie d'uscita, di un destino impresso dappertutto da un drammaturgo ben più in alto dello scrittore, un drammaturgo eterno, cinico e onnipotente.
Martino (bibliotecario, Biblioteca San Giorgio)
- Ultimo aggiornamento lunedì, 7 settembre 2015