Biblioteca San Giorgio, Pistoia


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I verbi della San Giorgio.

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6.41

 

Salite su un treno molto affollato che porta dalla piccola Troyes alla capitale francese, la frenetica Parigi. È lunedì e sono le 6.41 del mattino. Siete perse nei vostri impegni e nei vostri pensieri quando, improvvisamente, un uomo si siede accanto a voi. Lo riconoscete subito, nonostante siano trascorsi ventisette anni. È Philippe, il ragazzo più bello del liceo, quello che tutte le amiche vi invidiavano, quello con cui avete trascorso una breve vacanza a Londra, quello che avete odiato sommessamente per tutti questi anni. È cambiato: la bellezza è sfiorita, i capelli si sono diradati, la pancia è divenuta flaccida: il trascorrere degli anni gli ha regalato l’aspetto di un uomo di mezz’età piuttosto trasandato. Eppure, nonostante tutto, non potete fare a meno di riavvolgere il nastro della memoria e cominciare a ricordare.

Salite su un treno all’ultimo momento. Cercate un posto e lo trovate accanto a lei. Sono trascorsi ventisette anni. Lei non ha più l’aspetto di una ragazza anonima, né bella né brutta, ma è diventata una piacevole donna, interessante, dall’aspetto giovanile e molto ben curato.

Questa è la storia di un viaggio in treno che dura circa due ore, in cui Philippe e Cécile si ritrovano accanto l’uno all’altra ventisette anni dopo una breve relazione amorosa finita in modo terribile.

Attraverso un flusso di coscienza a voci alternate il lettore condivide i ricordi della loro relazione e capisce i motivi che hanno causato la dolorosa rottura della loro relazione: Philippe, mentre trascorreva una breve vacanza a Londra con Cécile, aveva avuto il cattivo gusto di condurre nella loro camera una ragazza appena conosciuta, presentando la giovane fidanzata come sua sorella, sancendo così la fine della loro relazione. Quella terribile notte londinese Cécile non l’ha mai dimenticata e ritrovarsi accanto quella persona che le ha fatto tanto male, per due lunghe ore, senza la possibilità di fuga, è davvero difficile. Ora però Cécile è una donna realizzata che ha saputo controllare le proprie debolezze, con una carriera, un marito, una figlia. Philippe invece non è riuscito a mantenere le promesse dell’uomo di successo che sembrava destinato a diventare: è vittima dei suoi fallimenti e avrebbe voluto che la propria vita avesse seguito un altro indirizzo. Quando era giovane, tutto sembrava non avere importanza, tutto facilmente raggiungibile e ora si ritrova maturo con il dubbio che forse, proprio quella normalità con Cécile poteva essere la felicità.

Entrambi seduti con le ginocchia che si sfiorano, vorrebbero dirsi tante cose, scusarsi, per un dovere verso se stessi, perché comunque per entrambi quella vacanza a Londra ha lasciato un’impronta così pesante da determinare le scelte successive. Ma il senso di rabbia si mescola al rimpianto, il senso di colpa alla malinconia per il tempo che passa. Vince l’imbarazzo, che tra di loro sa di cose non dette, mai spiegate, e assume il gusto agrodolce di un bilancio della propria esistenza. Scelgono di salutarsi appena, limitandosi solamente a guardare sui loro volti l’immagine del tempo che passa.

L’autore, con il pretesto di un incontro fortuito, intesse un romanzo malinconico e fortemente riflessivo: quanto il passato condizioni le nostre scelte e come è possibile redimerci dai nostri errori. Forse, sembra suggerire l’autore, è la vita stessa che, improvvisamente, ci porta a regolare i nostri conti in sospeso e a cercare di sanare e rimarginare ferite ancora aperte. Dare, concedere un’altra possibilità non sembra sempre essere la strada giusta: il tempo a propria disposizione scade, si esaurisce e ci costringe solo a fare i conti con quello che al momento siamo diventati.

Carolina (bibliotecaria, Biblioteca San Giorgio)

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